martedì 31 luglio 2018

Francia: minaccia di morte contro un prigioniero basco



30 luglio 2018

da secoursrouge.org

Lunedì 30 luglio, il prigioniero politico Mikel Irastorza ha trovato minacce di morte nella sua cella nella prigione di Réau (regione dell'Île de France). Una "ricerca ministeriale" è stata decisa in tutte le celle. Quando Mikel Albisu Iriarte tornò nella sua cella dopo la ricerca, si rese conto che un libro era stato depositato sulle sue cose. In questo libro c'era un post-it con un proiettile disegnato su di esso e la frase "That is for you fuck". Va notato che solo le guardie sono state in grado di accedere alla cella durante la ricerca.Mikel Irastorza è stato arrestato nel 2004 e condannato a 20 anni di prigione come leader dell'ETA ( vedi il nostro articolo ). È anche portavoce del Partito dei prigionieri politici baschi (EPPK). Mikel Irastorza è stato anche attaccato ad aprile da un prigioniero psicotico.

Affresco per ETA

Filippine: 19 persone arrestate durante uno sciopero a NutriAsia

da: secoursrouge.org


Lunedì 30 luglio, circa 300 persone sono hanno fatto un picchetto davanti alla società NutriAsia di Marilao (provincia di Bucalain). Questo sciopero è il risultato del conflitto dei lavoratori con NutriAsia sulle loro condizioni e contratti di lavoro. A giugno, circa 20 persone erano già state arrestate durante uno sciopero ( vedi il nostro articolo ). All'inizio di luglio, il Ministero del lavoro e dell'occupazione ha condannato la compagnia e ordinato la regolarizzazione di 80 lavoratori. La società ha impugnato questa decisione.Lunedì, il picchetto è stato violentemente disperso dalla polizia e dalle guardie di sicurezza e 19 persone sono state arrestate (lavoratori, sostenitori e giornalisti). Sono attualmente detenuti presso la stazione di polizia di Meycauayan.





Grievists di NutriAsia

Rojava: le YPG giustiziano il capo della banda jihadista in Afrin

da secoursrouge.org

Nella notte del 28 luglio, l'YPG ha giustiziato un leader del gruppo Feylaq Sham in Afrin Il gruppo Feylaq Sham è uno dei gruppi, alleato dello stato turco, che occupa il cantone di Afrin dal 18 marzo. Questo gruppo partecipa al regime di terrore e pulizia etnica, volto a sostituire gli abitanti degli arabi sunniti organizzati dai salafiti. L'YPG aveva già giusiziato uno dei leader di questo gruppo a maggio




Il sangue versato dai proletari di tutto il mondo ha lo stesso colore!


Alle elezioni Lega e M5S hanno vinto ed ora siedono sui banchi del governo dove prima erano seduti i bugiardi e i truffatori che li hanno preceduti. Questi due movimenti hanno vinto grazie al voto di rabbia e disillusione di operai, proletari e abitanti delle periferie dimenticate dalla vecchia politica. Sarebbe un voto di protesta, di rabbia e di disillusione comprensibile se non fosse per il rigurgito reazionario e razzista che questi due movimenti hanno fomentato indicando, come responsabile della disastrosa condizione in cui versano le famiglie dei proletari, altri proletari provenienti da Paesi stranieri. 

Questi Paesi sono stati resi poveri dalle rapine delle risorse e dalle guerre che i Paesi più ricchi, compreso il nostro, hanno perpetrato versando fiumi di sangue, rosso come il nostro, ma di altri popoli che ora, emigrando, finiscono nelle mani di caporali e speculatori che li sfruttano .

 E’ vero che le condizioni degli operai italiani sono peggiorate e che i diritti conquistati con le lotte passate vengono smantellati, pezzo a pezzo impoverendoci e ponendoci in condizioni di ricatto e sfruttamento mai viste prima dal dopo guerra ad oggi.

 Lega e M5S hanno promesso che miglioreranno le condizioni di vita degli operai e dei proletari italiani, che manderanno via tutti i politici corrotti, che faranno gli interessi del popolo e non quello delle banche e dei ricchi. Sino ad ora abbiamo assistito alla caccia al più povero e all’immigrato. Provvedimenti contro i ricchi, i padroni e le banche, non sono stati ancora fatti e forse non li vedremo mai.

 Al decreto del ministro Di Maio (altra trovata propagandistica) che dice di voler tutelare i lavoratori precari e sanzionare le imprese che delocalizzano, la CONFINDUSTRIA ha immediatamente alzato la voce ponendosi di traverso. Questo la dice lunga sul fatto che nel sistema capitalista sono sempre i capitalisti a dire l’ultima parola e a dirigere l’orchestra. Altro che “colpa degli immigrati che ci rubano il lavoro”, la colpa è sempre degli stessi, dei padroni e dei loro servitori della politica di qualsiasi partito o movimento essi siano. La maggioranza degli immigrati sono proletari come noi, gente che ha bisogno di lavorare per vivere, proprio come noi che nelle fabbriche subiamo sfruttamento e umiliazioni come quelle che i nostri padri o i nostri nonni subivano emigrando in altri Paesi.

 PER QUESTO MOTIVO DICIAMO CHE IL NEMICO DI NOI TUTTI E’ UNO SOLO: IL PADRONE! CON I SUOI SERVI DELL’APPARATO DELLO STATO CAPITALISTA! QUELLO CHE CI DIVIDE E’ LA CLASSE E NON IL COLORE DELLA PELLE! LOTTIAMO UNITI CON I PROLETARI E GLI OPERAI IMMIGRATI, SOSTENIAMOCI A VICENDA E FACCIAMO FRONTE COMUNE CONTRO IL NOSTRO UNICO NEMICO DI CLASSE, LE SUE SPIE E I SUOI SBIRRI ! PER UNA SOCIETA’ SOCIALISTA SENZA SFRUTTATI NE SFRUTTA!

Proletari torinesi per il Soccorso Rosso Internazionale

domenica 29 luglio 2018

Paesi Baschi / Spagna: un autobus, con a bordo famiglie di prigionieri indipendentisti è stato attaccato con una sassaiola.

da secoursrouge.org

Sabato, 28 luglio, un autobus che trasportava 11 persone di famiglie di prigionieri indipendentisti è stato colpito da una sassaiola nei pressi del carcere di Algeciras, in Andalusia. L'autobus stava tornato dalla prigione quando,  alle 19h. è stato attaccatoUna finestra del bus è andata in frantumi  ma nessun occupante è rimasto ferito. Gli autori dell'attacco non sono noti , ma diverse fonti parlano di un attacco fascista.


Una finestra dell'autobus che trasportava famiglie di prigionieri separatisti

USA: Kevin Rashid Johnson trasferito di nuovo

da secoursrouge.org

Il 10 luglio, Kevin Rashid Johnson, membro della "Sezione Prigione" del New Panther Black Panther Party  è stato nuovamente trasferito dalla Virginia Red Onion State Prison (dove  era appena stato trasferito il 12 giugno 2018) al Sussex I, una prigione di massima sicurezza. Con questo ultimo cambiamento, Rashid Johnson ha paura di essere trasferito in una prigione federale in un altro stato, e quindi in ulteriore isolamento. Questi trasferimenti multipli sono effettuati in rappresaglia per il suo lavoro politico nelle carceri e le testimonianze e le denunce di abusi del sistema giudiziario e carcerario.

Kevin "Rashid" Johnson

sabato 28 luglio 2018


27 luglio 2018

Giappone: due cause legate all'Armata Rossa giapponese

Tsutomu Shirosaki fu arrestato a Tokyo nel 1971 per aver preso parte alle rapine per finanziare la Frazione dell'Armata Rossa. Il 28 settembre 1977, cinque membri dell'Armata Rossa giapponese (un altro gruppo) dirottarono un boeing dalla Japan Airlines e ottennero il rilascio di sei prigionieri politici, incluso Tsutomu Shirosaki. I membri dei commando e alcuni prigionieri liberati andarono in Algeria, poi in Libano. Shirosaki, non si unì all'esercito rosso giapponese. Ha preferito diventare un combattente della rivoluzione palestinese nel FPLP.Il 14 maggio 1986, due missili furono sparati contro l'ambasciata degli Stati Uniti a Giacarta, in Indonesia. Altri due missili sono stati sparati all'ambasciata giapponese e un'autobomba è esplosa davanti all'ambasciata canadese. La brigata internazionale anti-imperialista ha rivendicato queste azioni come risposta al vertice del G7 a Tokyo. Poco dopo, il governo giapponese annunciò che era stata trovata un'impronta digitale di Tsutomu Shirosaki nella stanza d'albergo in cui venivano lanciati i razzi all'ambasciata giapponese. Al momento di queste azioni, Tsutomu Shirosaki era in Libano.Il 21 settembre 1996, la polizia locale di Kathmandu, in Nepal, arrestò Tsutomu Shirosaki e lo consegnò all'FBI. Estradato negli Stati Uniti, Tsutomu Shirosaki ha detto al processo che non aveva alcun ruolo negli attacchi di Jakarta e ha denunciato una montatura di polizia. È condannato a 30 anni per l'attacco all'ambasciata degli Stati Uniti. Dopo 20 anni di prigione, viene deportato in Giappone  dove viene condannato a 12 anni di prigione per l'attacco all'ambasciata giapponese a Giacarta. I difensori di Shirosaki hanno trovato 200 errori nella traduzione delle prove indonesiane e hanno presentato appello il 18 luglio. Decisione il 26 settembre.

Tsutomu Shirosaki

Tsutomu ShirosakiIl 18 luglio ha visto anche la fine del processo a Yōichi Yamada. Yamada è l'editore del giornale di sinistra Jimmin Shimbun , che ha pubblicato le dichiarazioni dell'Armata Rossa giapponese per molti anni. La polizia ha fatto irruzione nell'ufficio del giornale e ha arrestato Yamada come parte del suo coinvolgimento con Orion no Kai, un gruppo di supporto per Kōzō Okamoto, ex membro dell'Armata Rossa giapponese che vive a Beirut. I sostenitori hanno regolarmente inviato fondi a Okamoto per coprire le spese di soggiorno inserendole in un conto bancario in Giappone, a cui un simpatizzante con sede in Libano ha effettuato l'accesso utilizzando la carta di credito dell'account. La polizia ha arrestato Yamada per l'uso fraudolento di un conto bancario da parte di terzi, anche se in realtà lo hanno penalizzato per aver aiutato un uomo ancora ricercato dalle autorità giapponesi.Okamoto è l'unico sopravvissuto del commando giapponese che ha attaccato l'aeroporto di Tel Aviv nel 1972 come parte di un'operazione del FPLP. È stato rilasciato nel 1985 durante uno scambio di prigionieri. Gode ​​di asilo in Libano, ma la tortura e isolamento sofferto per 13 anni in Israele hanno gravemente colpito il suo stato mentale e i 70 anni uomo non è in grado di prendersi cura di se stesso. Yamada ha ricevuto una sospensione condizionale di un anno e tre anni. Sembra probabile che Yamada faccia appello.

venerdì 27 luglio 2018

Dichiarazione di Turgut Kaya

Turgut Kaya è un attivista rivoluzionario turco imprigionato in Grecia. Esiliato dopo molti anni di carcere e vittima di vari tipi di torture in Turchia, è stato arrestato in Grecia nell'aprile 2018 su mandato dell'Interpol. Minacciato con l'estradizione, ha iniziato uno sciopero della fame a maggio.
Questa settimana, lo stato greco ha annunciato che non estraderà Turgut Kaya, che per il momento rimane però prigioniero. Ecco la dichiarazione pubblica che ha fatto dopo questo annuncio.

Per il pubblico, 
come sappiamo, un tribunale greco ha preso la decisione della mia estradizione nella Turchia fascista. Il 31 maggio ho iniziato uno sciopero della fame per denunciare questo attacco alla mia identità rivoluzionaria e alla tradizione comunista che rappresento, oltre a chiedere la cancellazione della mia estradizione e la mia liberazione.
La decisione della magistratura greca è un segno concreto dell'aumento globale dell'aggressione ai movimenti progressisti, rivoluzionari e comunisti, specialmente in Europa. In questo senso, è una decisione estremamente reazionaria basata sulla volontà politica. Allo stesso tempo, ha aperto la strada a negoziati reazionari tra i cosiddetti democratici che in realtà rappresentano solo uno stato borghese, reazionario e fascista. Non appena sono stati discussi interessi comuni, il vero volto del cosiddetto fenomeno dello "stato" è venuto alla luce. Quindi questa decisione non è una minaccia solo per me, ma per migliaia di rifugiati che vivono in Europa. Questo attacco è solo un passo preliminare per un attacco contro tutte le identità politiche.
Quando ho iniziato il mio sciopero della fame, ho dichiarato che la lotta era entrata in una nuova fase e ha indicato la necessità di una solidarietà rivoluzionaria internazionale in risposta a questo tipo di attacco reazionario.
In realtà, questa solidarietà si manifestò durante l'azione dello sciopero della fame. Ancora una volta abbiamo provato e visto che la solidarietà è l'arma migliore del proletariato e degli oppressi.
Sebbene non sia ancora libero, lo sciopero della fame e la solidarietà generata dalle campagne di liberazione hanno bloccato la mia estradizione. Ecco perché ho deciso di interrompere il mio sciopero della fame sapendo che i miei amici, compagni e coloro che sono solidali rimarranno con me finché non sarò libero. Anche se non sono ancora libero rappresenta una vittoria per la volontà rivoluzionaria e la solidarietà internazionale.
Questa vittoria è principalmente quella del popolo greco. La solidarietà internazionale del popolo greco e le organizzazioni progressiste e rivoluzionarie da cui provenivano, in particolare il Comitato di emergenza greco, furono decisivi in ​​questa vittoria. È in questo che il principale vincitore è il popolo greco.
Questa vittoria è la vittoria della piattaforma "Libertà per Turgut Kaya" fondata da organizzazioni rivoluzionarie e partigiane turche e curde in Grecia. 
Questa vittoria è quella della solidarietà internazionale dalle Filippine alla Palestina e agli Stati Uniti, dalla Francia all'Italia e al Rojava, dal Pakistan all'Irlanda, alla Germania, alla Svizzera, Belgio, Norvegia, Inghilterra e altri paesi.
Questa vittoria è la vittoria di tutte le organizzazioni e gli individui rivoluzionari e democratici in Turchia e in Kurdistan che hanno dimostrato la loro solidarietà nonostante lo stato di emergenza.
Questa vittoria è quella delle organizzazioni di migranti di massa in Europa, principalmente "ATİK-UPOTUDAK, New Democratic Youth e New Woman. "
Questa vittoria è quella dei prigionieri DHKP / C in Grecia e del TKP / ML in Turchia che hanno lanciato uno sciopero della fame in solidarietà.
Questa vittoria è la vittoria della solidarietà rivoluzionaria.
Questa vittoria è la vittoria della solidarietà internazionale.
Lunga vita alla solidarietà rivoluzionaria!
Lunga vita alla solidarietà internazionale! 
 
24.07.2018 
Turgut Kaya

giovedì 26 luglio 2018

Filippine: un soldato ferito in un'operazione anti-guerriglia


Un distaccamento del 87 ° Battaglione di Fanteria stava conducendo una pattuglia di sicurezza nell'entroterra di Eastern Samar, quando ha incontrato un gruppo di 10 maoisti nel villaggio di Pinanag anni Lunedi intorno 11:23. La sparatoria è durata circa 15 minuti, i medici hanno recuperato un'arma e alcune attrezzature a terra, ma uno di loro è stato colpito alla spalla.

Combattenti del NPA


da /secoursrouge.org

Turchia: la Corte Suprema conferma le pene detentive di due internazionalisti cechi

Da secoursrouge.org

Markéta VÅ¡elichová e Miroslav FarkaÅ¡Markéta Všelichová e Miroslav Farkaš sono due internazionalisti accusati di combattere Daesh nelle file YPG e YPJ. Sono stati arrestati a novembre 2016.
Martedì 24 luglio, la Corte suprema della Turchia ha confermato la condanna a sei anni e tre mesi di prigione. La coppia ceca non può più appellarsi a questo giudizio in Turchia. D'altra parte, il verdetto finale della Corte Suprema impone che i cittadini Cechi dovranno scontare almeno la metà della loro pena in Turchia.
Markéta Všelichová e Miroslav Farkas sono stati imprigionati nella città di Van, nel sud-est della Turchia da 20 mesi. Possono ancora presentare un ricorso presso la Corte europea dei diritti dell'uomo.

Δεν υπάρχει εναλλακτικό τέλος από αυτό της επανάστασης. Συνέντευξη με το...



martedì 24 luglio 2018

L'immagine può contenere: testo

Da un confronto tra alcune compagne e compagni è emerso il seguente testo che ci viene chiesto di fare circolare.

Da un confronto tra alcune compagne e compagni è emerso il seguente testo che ci viene chiesto di fare circolare.


Una faccenda spiacevole
(come ci abbiamo ragionato e a che conclusioni siamo arrivati)
Una faccenda spiacevole quanto seria: spiacevole, perché con tutti gli affanni e i guai che la vita già ci riserva occuparsi di vicende del genere è un'incombenza che ci risparmieremmo volentieri; seria, perché da affrontare con attenzione visti gli effetti che possono causare una superficiale valutazione della questione e la mancanza di un conseguente sforzo a cercare di risolverla.
La faccenda in questione ha a che fare con modi di fare che, prima o poi e con variabili conseguenze, di certo non contribuiscono ad una crescita costruttiva di relazioni e percorsi, politici e non solo: l'avvicinamento (o a volte la consolidata frequentazione) ad ambiti di movimento e gruppi militanti da parte di persone che mettono in atto comportamenti ambigui, a volte loschi, spesso certamente poco chiari rispetto ai compagni/e con cui entrano in contatto.
Abbiamo ritenuto di condividere quanto ci è accaduto sia per senso di responsabilità, sia per poterci dare sempre maggiori strumenti condivisi per affrontare queste spiacevoli situazioni, che purtroppo non sono le prime e non saranno le ultime. Situazioni che possono anche, e il recente episodio di infiltrazione segnalato dalle/i compagne/i di Lecce ne è solo l'ultimo esempio, portare con sé risvolti ben più che spiacevoli. La questione è per noi politica e come tale va affrontata e gestita. Saremo disponibili a qualsiasi ulteriore delucidazione e a confrontarci su eventuali critiche costruttive per migliorare la gestione di tali situazioni.
Vorremmo però provare con questo scritto a prendere in considerazione non solo questi inopportuni modi di fare che da sempre, con diverse connotazioni, affaticano movimenti e lotte con la loro presenza e con un assorbimento di energie che più proficuamente si destinerebbero ad altre questioni, ma anche suscitare, in quante/i leggeranno, una riflessione sulle possibili responsabilità a cui si potrebbe andare incontro non impegnandosi per fare luce seriamente su questo genere di faccende quando ci cascano tra i piedi.
Elenchiamo un'incompleta serie di questi, diciamo non costruttivi, modi comportamentali e alcune delle reazioni che possono provocare.
- Un modo semplice per entrare in un certo ambiente quando vi si è sconosciuti è fare riferimento a relazioni amicali o politiche condivise. Conosco tizio, faccio politica con caio o nella tal situazione, anche se, confrontando le varie narrazioni, si viene a scoprire che queste "credenziali" raramente vanno oltre la frequentazione di spazi aperti al pubblico, occasionali incontri, apparizioni in compagnia durante iniziative di movimento, quando non si tratta di "amicizie" completamente inesistenti. In realtà, risalendo la corrente di contatto in contatto, si arriva al nulla da cui si è spuntati e su cui, anche sotto diretta sollecitazione da parte delle compagne/i, prima si fa i vaghi e poi ci si sottrae, magari anche a suon di minacce, dal fornire alcuna precedente "credenziale" verificabile. Forse, per quanto involontario sia l'appiglio che qualcun altro/a si è preso, c'è da avvertire perlomeno un certo disagio, che è salutare risolvere al più presto, in questo uso spregiudicato delle proprie relazioni, vere o narrate che siano, per aprirsi altre porte.
- Si dà prova di disponibilità, magari di conoscenze tecniche che possono risultare utili alle esigenze dei compagni/e, ma tanto si è parchi nelle argomentazioni teoriche e nelle categorie di pensiero e di linguaggio che caratterizzano specifiche ideologie, quanto si è prodighi nella ricerca di collocazione organica nei più disparati circuiti della critica radicale. Si dirà che non si può pretendere che tutti abbiano letto i testi sacri della rivoluzione o utilizzino una terminologia d'appartenenza politica, ma se la stessa persona narra di trascorsi in contatto con gli ambiti radicali di altri Paesi potrà pure suonare un po' stonata questa incongruenza.
- Si accenna a possibili iniziative da mettere in campo e condividere, per poi il più delle volte lasciarle cadere nel nulla una volta realizzato il contatto con il compagno/a o il gruppo a cui le si sono proposte. Possono essere dimenticanze, si può essere rimesso in discussione quanto proposto e può anche essere un modo per sondare nuove "amicizie" allettando l'interlocutore con argomenti, diversi a seconda dei casi, che possono risultargli o risultarle di interesse.
- Si aggiunge la referenza di un passato "turbolento", dai dettagli imprecisi e variabili a seconda di chi si ha di fronte, e ci si dota al tempo stesso di un'altra "credenziale" o di una risposta comprensiva nei confronti di un'indisposizione a rimuginare sul passato. Speriamo di cuore che, per loro fortuna, questi/e compagne/i non sappiano per esperienza personale che anche in galera prima o poi tocca a tutti mostrare, ai vicini di reclusione, le carte che inquadrano il contesto dei reati di cui si è imputati.
- Le contraddizioni, la mancanza di risposte precise ed elementi verificabili che possano portare, tra vaghi accenni e spizzichi di narrazione perlomeno inquietanti, un po' di chiarezza sul proprio interlocutore vengono difesi, aggressivamente o "buttandosi a pietà" secondo chi si ha di fronte, richiamandosi ad un vissuto che le compagne/i non hanno diritto sia loro svelato. C'è chi può dire "sono fatti suoi", ma si può anche avvertire la sensazione che qualcosa non quadri e che sia necessario porvi rimedio. Questo, a volte difficile, tentativo di fare chiarezza (utile di fatto tanto ai compagni/e quanto per chi, se è in buonafede, l'ha provocato) può venire liquidato da alcun*e/i quale "chiacchiericcio alle spalle" o "paranoia militante", anche quando le modalità per ricostruire i contorni oggettivi della faccenda sono stati tutt'altro che superficiali e si sviluppano grazie a quella sana pratica del confronto collettivo che per alcune/i pare sempre più spesso essere invece diventata un'inutile e fastidiosa perdita di tempo. Come per altre faccende, siamo convinti che nella miseria dei tempi in cui viviamo, proprio di confronto a più voci ci sia bisogno per fare fronte ai piccoli e grandi problemi in cui possiamo incappare.
Si tratta di elementi che presi singolarmente possono dire tutto e nulla dei motivi o delle finalità che spingono una persona ad assumerli, ma che certo non si possono considerare segnali di limpidezza nel modo di relazionarsi tra compagne/i, e non solo, e che giustamente possono generare diffidenze che, se è in buonafede, la persona che assume tali comportamenti è tenuta a dissipare con le compagni/e che frequenta. Dovrebbe essere un'attitudine a priori, quella di essere chiari con chi si vuole condividere un percorso, ma se questa non c'è e ne viene esplicitamente chiesto conto non sarà certo un'incoraggiante risposta quella di negarsi al chiarimento. Relazionarsi con correttezza significa anche aver trovato nei compagne/i con cui si sceglie di condividere un percorso l'ambito a cui affidare il proprio vissuto, comprese eventuali "ombre" del passato, perché questi/e compagne/i possano valutare se sono o meno disponibili a questa condivisione.
Infine, un atteggiamento "riservato" su di sé e sui propri trascorsi può essere comprensibile e rispettabile per qualcuna/o che deve sottrarsi ad un'identificazione da parte della Legge, non certo per chi fa il misterioso con le compagni/e ma si espone senza problemi in iniziative e attività evidentemente monitorate dai tutori dell'ordine.
Può capitare, e capita da queste parti da ormai diverso tempo, che un singolo individuo possa raccogliere su di sé gran parte di queste spiacevoli caratteristiche comportamentali e per quanto sia innata in noi la consuetudine a non mettere per scritto nomi e cognomi altrui, siamo sicuri che la persona in questione e chi ha avuto, ha o avrà contatti con tale persona non avrà problemi a riconoscersi o riconoscerla.
Sia ben chiaro, qui non si tratta di voler allestire un processo in assenza del diretto interessato, ma di tracciare attraverso il confronto tra compagne/i, un possibile metodo per affrontare situazioni del genere e di invitare quindi chi legge questo testo a rifiutare comportamenti che non devono fare parte degli ambienti a cui si dedica la propria partecipazione ed il proprio impegno.
Certo, non sono tempi liberi da scorrettezze e comportamenti, anche pesantemente, ignobili tra sedicenti compagne e compagni: spiacevolmente (come si scriveva all'inizio) ne offriamo al lettore qualcun altro su cui riflettere e prendere le proprie decisioni in merito. Certo, anche la facilità con cui alcune/i compagne/i hanno affidato e socializzato il proprio personale-politico, consegnato supporti informatici e ancora peggio dato credito alle affermazioni di uno sconosciuto rispetto a quelle di compagni di comprovata fiducia ci deve fare riflettere.
Noi ci abbiamo riflettuto, magari con evidenti limiti e con una tempistica che potrà risultare eccessivamente lenta e abbiamo preso le nostre decisioni tra compagni/e che, pur nella diversità dei propri percorsi e delle proprie impostazioni teoriche e ideologiche, si riconoscono parte di una comunità che aspira ad una trasformazione radicale delle proprie esistenze e delle relazioni sociali (intese in ogni loro aspetto) presenti nei luoghi in cui si interviene, e che prova ad agire di conseguenza.
Comportamenti del genere, aldilà di qualunque obiettivo veicolino o qualunque disagio umano possano nascondere, sono da tenere lontani dalle relazioni, dai percorsi che costruiamo nel campo della nostra quotidianità. Quotidianità che è fatta sì di lotte, di progetti politici, ma anche della ricerca di chiarezza e fiducia nei rapporti che intrecciamo con chi ci sta attorno.
alcune compagne e compagni tra Torino e vallate alpine

lunedì 23 luglio 2018

Filippine: due poliziotti uccisi dai guerriglieri maoisti


Combattenti del NPA





Due poliziotti sono stati uccisi in un agguato alla guerriglia oggi a Palawan. L'agguato si è svolto alle 11 di mattina a Sitio Nagtakayan, nel comune di Bato. I due poliziotti stavano andando alla stazione di polizia di Taytay quando si sono trovati sotto il fuoco dei guerriglieri. Forze di rinforzo composte da elementi provenienti da marines filippini e polizia locale sono state inviate all'area.

Grecia: l'asilo politico concesso a Turgut Kaya 21 luglio 2018 Grecia: l'asilo politico concesso a Turgut Kaya


Solidarietà con Turgut Kaya di Austin, in Texas.

Turgut Kaya, un rivoluzionario turco detenuto in Grecia, ottenne asilo politico dalla giurisdizione greca. Tuttavia, il processo di estradizione non è ancora stato cancellato e rimane imprigionato. Sta continuando il suo sciopero della fame che sta iniziando il suo 52esimo giorno e l'ATIK chiede di intensificare la mobilitazione di sostegno.

ISOLAMENTO ARMA POLITICA DEL SISTEMA CARCERARIO ITALIANO

ISOLAMENTO ARMA POLITICA DEL SISTEMA CARCERARIO ITALIANO
Diffondiamo l’articolo che il “Centro di documentazione e lotta Rosso 17” ha preparato su richiesta dei compagni turchi del DHKP-C. Si tratta di una sintetico ma esplicativo scritto che, scorrendo le fasi della lotta di classe nel nostro Paese, spiega l’evoluzione del sistema carcerario italiano in funzione controrivoluzionaria passando attraverso ai sistemi di differenzazione ed isolamento sino all’applicazione dell’art.41 bis.
Per capire il sistema carcerario italiano, la sua differenziazione interna, bisogna risalire agli anni settanta. Che, come si sa, in molti Paesi, Italia compresa, hanno visto lo sviluppo di un potente movimento di classe e di forti espressioni rivoluzionarie. Relativamente all’area euro occidentale, il caso italiano è stato particolarmente profondo. Lo scontro toccò livelli sempre più alti, e le Brigate Rosse ne costituivano la punta di lancia. Con la loro capacità complessiva, politico-militare, costituirono nei fatti l’embrione del possibile Partito Comunista Combattente. Agirono come tale, pur non riuscendo infine a compiere quel salto.
Questa breve premessa è essenziale per capire le contromisure assunte dallo Stato, in una situazione che si configurava di “guerra civile di bassa intensità”, a rischio di divampare in piena crisi rivoluzionaria.
Questa coinvolgeva anche le carceri che, a partire dal 1969, parallelamente all’esplosione del movimento operaio e studentesco, divennero teatro di rivolte, lotte, evasioni. E in rapporto organico con i movimenti esterni, con la crescita di una sinistra proletaria rivoluzionaria. Le avanguardie espresse dalle lotte carcerarie, incontrando le nuove leve militanti che entravano in carcere a causa della repressione esterna, si politicizzarono rapidamente. Risultato ne fu il formarsi di un’area militante, fra interno ed esterno, sensibile all’emergere della lotta armata. E ancor più dall’ingresso in carcere dei primi brigatisti, a partire dal 1974. Il carcere, il “proletariato prigioniero” divennero così un vero e proprio fronte dello scontro generale. Le azioni di guerriglia si moltiplicarono, contro strutture e personale della repressione, ai loro massimi livelli. Fu in questa situazione che lo Stato attuò la prima grande controffensiva: l’istituzione delle carceri speciali.
Situate su isole o in zone estreme della penisola, militarizzate sotto il controllo dei carabinieri (il corpo speciale dell’esercito, specializzato storicamente nella repressione interna), e a concentrazione limitata (non più di cento-duecento detenuti), in esse vennero deportat* solo militanti rivoluzionar* e prigionier* ribell*, protagonisti di lotte ed evasioni. Le condizioni erano punitive, di grande deprivazione, e basate sul criterio della cella singola, non più di dieci metri quadrati. Celle poste spesso su un solo lato del corridoio, alfine di rendere ancor più difficile la comunicazione fra i prigionier*. Insomma, l’obiettivo principale era appunto l’isolamento. Innanzitutto rispetto alla gran massa dei detenuti, per frenare, impedire la socializzazione delle idee e delle pratiche di lotta, mentre all’interno degli “speciali” si puntava a spezzare la resistenza e la solidarietà de* militant* combattenti. Compito arduo, che per diversi anni non fece altro che attizzare ancor più il fuoco della contrapposizione. La forza crescente delle Organizzazioni Combattenti, e soprattutto delle Brigate Rosse, si riversava sul rapporto di forza attorno e dentro le carceri.
La violenza repressiva trovava spesso adeguate risposte, e la paura era diffusa fra le truppe e i caporioni nei Ministeri e nelle strutture dirigenziali.
A limitare le capacità d’azione dello Stato vi era poi la dimensione del fenomeno: prigionier* speciali che diventavano centinaia, e infine, fra il 1981 e ’82, circa 4.000. Tant’è che solo una parte poteva essere confinata nelle sezioni speciali, una gran parte finiva comunque nelle carceri comuni, anche se magari in sezioni solo per politici. Gli stessi “speciali” erano diventati un terreno di scontro molto violento. L’apice ne fu la campagna condotta congiuntamente dai Comitati di lotta interni e dalle Brigate Rosse per la chiusura del carcere speciale più simbolico, quello dell’Asinara. Situato su una piccola isola, vicina alla Sardegna. La sua chiusura era reclamata tanto quanto la fine del “trattamento differenziato”, e l’abolizione dell’articolo 90 (del Codice Penitenziario), con cui venivano imposte le misure più dure e di tendenziale isolamento. Fra cui la misura più odiosa consisteva nella tenuta dei colloqui con i familiari tramite vetri divisori e citofoni. Un paio di rivolte, una nella stessa Asinara, l’altra a Trani (in Puglia), con sequestro di guardie, furono condotte congiuntamente al sequestro esterno di un alto direttore ministeriale.
Pur mascherando in modo bizantino la decisione, il governo passò alla chiusura del carcere simbolo dell’Asinara(con la scusa delle devastazioni interne fatte dai rivoltosi). La repressione, lì e a Trani, fu molto pesante, ma le Brigate Rosse attuarono subito rappresaglia, giustiziando un generale dei carabinieri.
Questa fase di scontro, nell’inverno 1980/’81, vide però le avvisaglie di un grave fenomeno negativo che si stava sviluppando internamente al movimento rivoluzionario. Nonostante i livelli di forza organizzata, contraddizioni ed errori accumulati (di cui qui non possiamo dar conto) travagliarono in profondità il corpo militante, manifestandosi infine nel crollo di molt* al momento dell’arresto, o dopo pochi mesi di prigionia.
Il pentitismo – cioè il tradimento e la collaborazione con il nemico – poi la dissociazione politica – cioè la resa, l’ammissione di sconfitta di fronte ai tribunali – spezzarono la solidarietà e la tenuta del fronte carcerario. Lo scontro si trasferì internamente al movimento stesso e i danni furono notevoli.
Lo Stato vinse la partita militarmente e utilizzò quei fenomeni per disgregare dall’interno il movimento e le organizzazioni. Tant’è che nel 1985 allentò decisamente la morsa carceraria, sospendendo l’applicazione dell’articolo 90 e i trattamenti peggiori che ne conseguivano. Semplicemente predispose alcune sezioni (e non più carceri intere) di tipo speciale, dove trasferì gli “irriducibili”, cioè militanti che mantenevano una posizione rivoluzionaria coerente, rifiutando le varie forme di resa e dissociazione. Non vi era più il pericolo di continui attacchi guerriglieri, né che quest* prigionier* costituissero un’entità politica omogenea e definita.
Iniziò allora una fase di “ritirata strategica”- come fu definita dalle Brigate Rosse ancora attive – che significava riorganizzarsi su una linea più arretrata e sostenibile, continuando a combattere nella misura del possibile. Per dare un’idea della situazione, dalle centinaia e centinaia di militanti e sostegni coinvolti nelle organizzazioni armate fino al 1982, si passò alle decine. E delle organizzazioni, nei fatti, sopravvissero solo le Brigate Rosse. Più tardi, negli anni novanta emergeranno anche i gruppi anarchici, ma la loro lotta armata sarà diversa e molto minore.
Dalla metà degli anni ottanta, quindi, lo Stato non dovette più gestire una repressione di massa, con tutti i problemi derivanti da grandi strutture carcerarie speciali. Poté concentrare l’azione in modo “chirurgico”.
Ed è appunto in quegli anni che l’uso dell’isolamento divenne sistematico.
I pochi militanti che continuano la lotta, l’impegno politico-militare, quando vengono catturati possono essere facilmente dispersi e isolati. L’Italia è un Paese disposto in lunghezza (circa 1.500 km da un capo all’altro), per cui le incarcerazioni avvengono in località molto lontane dai luoghi di provenienza dei prigionieri. Con tutti i disagi conseguenti nel mantenere relazioni e contatti esterni. In certi casi, di famiglie proletarie con pochi mezzi, i colloqui diventano sempre più rari nel corso della detenzione. Per non parlare dei rapporti extrafamiliari, con amic* e compagn*, rispetto ai quali la censura è molto rigida. Arrivando in certi casi a vietarli del tutto. Comunque a limitarne numero e frequenza ai minimi termini. Il potere conosce bene l’importanza, il valore dei colloqui e della possibilità di mantenere rapporti esterni, soprattutto nelle lunghe detenzioni. E agisce su questi proprio per pesare sulle condizioni vitali, quindi sulla tenuta, sulla capacità di resistenza de* prigionier*.
La distanza e la localizzazione in zone enclave, fuori dalle principali vie di comunicazione, crea problemi anche alle possibili mobilitazioni solidali. Comunque le rende difficili e occasionali, non continuative.
Il trattamento interno poi è rigidamente improntato alla separazione dal resto della popolazione detenuta.
Nei primi mesi, o in periodi particolari, il/la compagn* viene isolato del tutto, in sezioni di passaggio al pianoterra, vicino ai locali amministrativi, ai quartieri delle guardie. In quei periodi, così, non si vedono che guardie. Ad ogni spostamento, ad ogni andata e ritorno nel cortile per le ore d’aria, si è scortat* da guardie, e si resta da sol* in cortiletti piccolissimi. La frequenza, quasi quotidiana, delle perquisizioni, rende
la presenza delle divise una vera invadenza nella vita di tutti i giorni. Tutto questo ovviamente è studiato, scientificamente applicato per intaccare la tenuta psicologica, la resistenza personale e dunque politica.
Fino a dettagli come la rumorosità dell’ambiente, del loro vociare, o la luminosità spettrale da campo di concentramento che invade la cella dai grandi riflettori di recinzione.
Questi periodi durano anche fino ad un anno. Poi avviene l’assegnazione ad una sezione di alta sicurezza.
Queste sono in continuità con ciò che furono le carceri speciali. Ma, mentre si è attenuata la durezza delle condizioni, la tensione conflittuale con le guardie, ne è stata ribadita la funzione di rigida separazione dalla popolazione carceraria comune. Le sezioni sono isolate ai margini degli edifici, persino le scale sono separate. Ogni spostamento è sotto scorta, i contatti con altri detenuti quasi impossibili. La vita in sezione egualmente compartimentata: cella singola, le 4 ore d’aria quotidiana, in cortile, sono il momento di socialità fra tutt* i/le presenti in sezione, per il resto si è sempre in solitudine. Questo facilita almeno la concentrazione e lo studio, ma non il dibattito e lo sviluppo politico collettivo.
Questo, grosso modo, il tipo di carcerazione vissuta dai/le militanti rivoluzionari/e in questi decenni.
Ma dai primi anni duemila, sul filo delle nuove legislazioni antiterrorismo internazionali e della generale ondata repressiva, si è aggiunto un ulteriore regime di isolamento aggravato. Noto come regime in articolo 41bis (articolo del Codice Penitenziario).
Il suo principio è un seguito del precedente (succitato) art.90. Ma, ben più grave di questo, esso non è una “temporanea sospensione degli altri articoli, e di certi diritti del detenuto, per gravi motivi di ordine e sicurezza interni”, bensì punta a “recidere, impedire i collegamenti fra il detenuto e l’organizzazione esterna di appartenenza”. Quindi non si limita a periodi eccezionali, transitori, ma diventa stabile nel tempo, indeterminato. Inizialmente rinnovabile ogni 4 mesi, oggi ogni 2 anni, esso viene attribuito nominativamente, per decreto ministeriale. Insomma, si tratta di questione pesante.
Infatti il trattamento è semplicemente disumano: le sezioni sono piccolissime, la socialità prevista è con un massimo di altri 3 detenut*, per una sola o due ore d’aria quotidiana, in cortile. Ma sovente, causa altri criteri di incomunicabilità, anche questa socialità viene annullata. Divieto di cucina in cella. Ogni effetto personale, pure libri, giornali e carte, tutto viene contato e limitato in quantità: la più grave limitazione consiste nei 3 libri al massimo, e nel fatto che possono essere acquistati solo tramite l’amministrazione carceraria (con tutte le conseguenti censure immaginabili). Posta rigidamente censurata. 1 ora di colloquio mensile, solo con familiari stretti, con vetro divisorio. Perquisizioni assillanti e, crudeltà gratuita, pannelli in plexiglass a doppiare le sbarre alla finestra, cioè ostruzione alla vista, cancellazione di cielo e quel po’ di orizzonte visibile da una cella.
Tortura, così noi (e non solo noi del movimento rivoluzionario) definiamo questo regime carcerario. Che infatti ha già prodotto morti, anche da suicidio. In origine è stato concepito non in funzione controrivoluzionaria – poiché nei primi anni novanta il movimento di classe era ai suoi più bassi livelli - ma nello scontro interno allo Stato, alle frazioni borghesi, contro la potenza ascendente delle mafie. Nei fatti viene applicato come misura di gestione repressiva nelle regioni in cui l’economia mafiosa è la principale fonte di sussistenza per ampi settori popolari, e contro le loro velleità ribellistiche (mentre capitale e potere mafioso continuano a prosperare).
Successivamente l’art.41bis è stato applicato anche ad alcun* compagn*. Nella logica della differenziazione, di un dosaggio scientifico e politico della repressione, sono così colpiti nel modo più crudele i/le prigionieri/e delle Brigate Rosse che hanno condotto gli ultimi attacchi al governo. Nella persona di due consulenti governativi che avevano sviluppato la legislazione antioperaia, di maggior sfruttamento e flessibilità. Il messaggio del potere è terroristico: guai ad attaccarci, guai a tentare di nuovo la via rivoluzionaria. Il proletariato, le sue organizzazioni devono fare i conti con questa guerra sporca che la borghesia, l’imperialismo ormai praticano in modo permanente. Ovunque.
Chiudiamo questo resoconto ricordando peraltro che in Italia esiste la condanna all’ergastolo effettivo.
Una decina di compagn*, sempre delle BR, sono in carcere da 36 anni, e un’altra decina da 30 anni. Senza alcuna prospettiva di uscita, visto che rifiutano ogni patteggiamento.
La mobilitazione , da tempo, ha posto così al centro sia la lotta contro la tortura del 41bis, sia il sostegno e la liberazione incondizionata per quest* compagn*. Obiettivi che sappiamo non essere concretizzabili a breve, ma che sono importanti come aspetti della guerra di classe interna e della possibilità di ripresa di un forte movimento rivoluzionario.
Centro Documentazione e Lotta Rosso 17
Aprile 2018

A fianco dei prigionieri rivoluzionari incarcerati in Grecia!

Comunicato del Soccorso Rosso Internazionale L'SRI invia i suoi più calorosi saluti alle prigioniere e prigionieri rivoluzionari detenuti nelle carceri greche e sostiene le loro lotte contro i ripetuti tentativi di metterli in isolamento, di imporre loro leggi speciali, di sopprimere le opportunità di studio in carcere e di congedo penitenziario, di imporre loro condizioni di visita inaccettabili e contro le estradizioni dei compagni/e che appartengono alla sinistra rivoluzionaria turca e al movimento di liberazione nazionale curdo. Le pratiche governative di Syriza sono in linea con le pratiche di altri governi borghesi! Il SRI lancia un appello alla più ampia solidarietà con l'attivista Turgut Kaya di ATIK (Confederazione dei lavoratori turchi in Europa), un rivoluzionario che è in sciopero della fame in Grecia per combattere contro il tentativo di estradarlo in Turchia. La polizia turca ha messo una taglia sulla sua testa emettendo un mandato di arresto internazionale accusandolo di avere un ruolo di responsabilità nel TKP / ML (Partito Comunista di Turchia / Marxista-Leninista). La sua estradizione fu decisa da un tribunale di primo grado ad Atene il 30 maggio.
Il SRI invia saluti solidali a Pola Roupa, attivista di Lotta Rivoluzionaria, che oggi ha ricevuto un verdetto di carcere a vita completato da una condannata a 25 anni per gli attacchi contro la Banca di Grecia e gli uffici del FMI di Atene nel 2014. Per la prima volta, l'accusa ha dovuto riconoscere l'impatto politico dell'azione di guerriglia citando la possibilità di un crollo del sistema bancario greco che avrebbe potuto essere causato dalle azioni di Lotta Rivoluzionaria. Pola Roupa è la prima attivista condannato in Grecia, non per aver preso parte a un'azione, ma averla "incitata". Ad ogni sviluppo della lotta, corrisponde l'acuirsi della repressione. Facciamo in modo che all'acuirsi della repressione corrisponda lo sviluppo della solidarietà! Sostieni le prigioniere e prigionieri rivoluzionari in Grecia Soccorso Rosso Internazionale 11 luglio 2018

sabato 21 luglio 2018

Irlanda del Nord: l'IRA guida l'attacco contro le forze britanniche a Derry


Base delle forze di sicurezza dell'esercito britannico.  Bishops Gate, Derry City Walls, Londonderry





La settimana scorsa, i paramilitari dell'esercito britannico e della PSNI / RUC sono entrati nell'area di Free Dery. Hanno attaccato i militanti repubblicani nelle strade (anche con proiettili di gomma) e hanno fatto irruzione nelle case. Fu in questo contesto che un volontario della Brigata Derry dell'IRA sparò con l'AK47 e lanciò una granata contro le forze britanniche.

 Ilaria e Tobias liberi Nessuna estradizione per Gabriele Lunga vita in libertà ai latitanti L’11 febbraio scorso degli esponenti di estrema...