domenica 7 gennaio 2024

 Ilaria e Tobias liberi

Nessuna estradizione per Gabriele

Lunga vita in libertà ai latitanti

L’11 febbraio scorso degli esponenti di estrema destra sono stati attaccati durante il “Giorno dell’onore”, un raduno che in Ungheria vede ogni anno la partecipazione di neofascisti e neonazisti da tutta Europa. Sei compagni sono stati arrestati perché accusati di aver preso parte a queste azioni, di cui due, Ilaria e Tobias, si trovano ancora reclusi in carcere a Budapest, dove sono sottoposti a dure condizioni detentive. Il 29 gennaio prossimo inizierà il processo a loro carico. 

L’impianto accusatorio vuole collegare queste azioni all’inchiesta “AntifaOst”, aperta in Germania dal 2018, e punta a dimostrare l’esistenza di un’ipotetica associazione criminale internazionale, ritenuta responsabile degli attacchi. In seguito alle indagini, l’Ungheria ha emesso un mandato di arresto europeo (MAE) per 14 persone (quasi tutte latitanti) provenienti da Germania, Italia, Siria e Albania. Tra queste c’è Gabriele, un compagno di Milano, che a fine novembre è stato arrestato dalla polizia italiana. Il 5 dicembre si è tenuta l’udienza della Corte d’Appello riguardante la sua estradizione, nella quale gli avvocati difensori hanno portato all’attenzione della corte una lunga e importante testimonianza scritta da Ilaria sulle pessime condizioni della sua detenzione. I giudici hanno rinviato la decisione al 16 gennaio, disponendo una richiesta di approfondimento sulle condizioni detentive nelle carceri ungheresi.

Il mandato di arresto europeo è uno strumento di cooperazione giuridica fra gli Stati membri creato per semplificare lo scambio di prigionieri, e prevede che: il paese in cui la persona viene arrestata adotti la decisione sull’esecuzione dell’arresto entro 60 giorni; le decisioni vengano prese unicamente dalle autorità giudiziarie; gli Stati membri dell’UE non possano rifiutare la consegna dei propri cittadini, a meno che non assumano la competenza per l’azione penale o l’esecuzione della pena privativa della libertà nei confronti del ricercato.

È utile mettere in evidenza che dal 2016 l’esecuzione del MAE è stata ritardata o rigettata in 300 casi per motivi legati alla violazione dei diritti fondamentali, ma bisogna anche sottolineare che per quanto riguarda l’Italia e i casi di repressione politica è stato concesso molte volte:

– una compagna è stata arrestata in Francia per l’operazione Scintilla, successivamente estradata;

– un compagno è stato arrestato in Francia in seguito a tre mandati di cattura emessi dall’Italia, per le lotte contro i CPR e gli sfratti;

– dalla Spagna è stata estradata in Italia una compagna per l’operazione Bialystok;

– un compagno è stato estradato dalla Grecia all’Italia per gli scontri del 15 ottobre 2011;

– un compagno del movimento NO TAV è stato estradato in Francia per il reato di violenza aggravata nei confronti di un gendarme durante una manifestazione in solidarietà con i migranti, il 15 maggio 2021.

In pochi casi l’estradizione è stata rifiutata: ad esempio, lo Stato greco ha negato all’Italia l’estradizione di cinque compagni greci per la manifestazione NO EXPO di Milano del 1ºmaggio 2015 e la Francia ha rifiutato l’estradizione di un compagno italiano per i fatti del G8 di Genova.

La fortezza Europa non è tale solo verso l’esterno, attraverso strumenti comuni per il controllo delle frontiere, ma è una fortezza anche al suo interno, mediante la condivisione e la centralizzazione dei dispositivi di controllo, schedatura e repressione della conflittualità.

Il 13 gennaio si terrà a Milano un corteo antifascista in solidarietà agli incriminati per i fatti di Budapest e riteniamo importante mobilitarci anche a Roma nei giorni precedenti. Se è molto importante far sentire la solidarietà internazionale ai compagni, è altrettanto necessario rispondere a questo grave attacco repressivo che riguarda tutto il movimento antifascista militante e l’antagonismo in generale analizzando con lucidità il problema del rigurgito dell’estrema destra in Europa. È innegabile che elementi e mezzi neofascisti e neonazisti siano sempre più coinvolti nel processo di ristrutturazione capitalistica in corso in tutta Europa. Dal golpe del 2014 la costruzione del regime ucraino si è basata  sull’arruolamento di milizie di stampo neonazista, come il famigerato battaglione Azov, sotto la regia militare e finanziaria della NATO. Questo mentre vari Stati europei spingono sempre più per inserire i gruppi antifascisti nella lista nera delle formazioni terroriste. 

La stessa Unione Europea si configura come uno spazio sempre più militarizzato e autoritario. Per imporre la feroce agenda neoliberista gli Stati europei inaspriscono le pene per i reati di ordine pubblico. Ne sono un esempio i Decreti Sicurezza firmati dai vari governi italiani, o la loi anti-casseurs in Francia. L’aria che tira a livello europeo è esemplificata da questi episodi: in Germania si viene perseguiti per aver intonato una slogan pro-Palestina, in Francia i prefetti vietano le manifestazioni, in Italia la magistratura reprime operai e delegati dei sindacati di base che lottano per migliorare le proprie condizioni, utilizzando con sempre crescente fantasia reati associativi.

Le politiche neoliberiste adottate dalla UE – fondate su privatizzazioni e libero mercato, tagli allo stato sociale, bassi salari – comportano la necessità di aumentare la repressione e il controllo, sia a livello sociale che politico. In questo contesto i fascisti svolgono il loro ruolo storico di servi al soldo dei padroni: fomentatori della guerra fra i poveri, squadristi o stragisti, alla bisogna.

È necessario sviluppare la resistenza contro lo stato di guerra, lo sfruttamento, l’esclusione sociale e le politiche autoritarie e razziste che i governi europei praticano e diffondono nel mondo.

Come avvenuto nel caso di Alfredo Cospito, solo una mobilitazione determinata e internazionale può fare la differenza.

Assemblea organizzativa per il presidio: lunedì 8 gennaio, ore 20:00 presso il Punto Solidale Marranella, via Dulceri 211.

MERCOLEDÌ 10 GENNAIO 2024

PRESIDIO PRESSO L’AMBASCIATA UNGHERESE

VIA DEI VILLINI 11, ROMA ORE 10:00

Assemblea di solidarietà con Alfredo Cospito e i prigionieri rivoluzionari

 

NOTE SU ROJAVA E RIVOLUZIONE INTERNAZIONALE

Il fronte del Rojava si apre durante la tappa siriana delle “primavere arabe”.  Nel sommovimento interno che attraversa la Siria, la popolazione kurda del nord-est e le sue organizzazioni armate iniziano un percorso di autodeterminazione. Entrando in contrasto con lo Stato centrale, ovviamente, che, per quanto tollerante (a fasi alterne) ha comunque sempre perseguito l’arabizzazione, è sempre un regime costruito sull’identità di Stato-nazione. E, per quanto relativamente progressista rispetto ai regimi dell’area, ha anch’esso sistematicamente represso le tendenze comuniste conseguenti .  Più generalmente, il sollevamento del Rojava fa parte del movimento di liberazione del Kurdistan, fatto a pezzi dalla politica colonialista, con il trattato di Losanna esattamente 100 anni fa, smembrandolo fra quattro Stati.

Grande svolta avviene fra il 2013/’14 quando ai regimi reazionari dell’area che già finanziavano e armavano potentemente  varie organizzazioni islamiste jihadiste, si aggiunge il regime fascista turco con un’operazione di copertura e infiltrazione massiccia di queste, investendo quindi direttamente il Rojava.  È la fase più critica, quella del dilagare dell’ISIS-DAESH fra Siria e Iraq. La fase dell’eroismo kurdo che si trova ad affrontare un’armata, informale ma continuamente alimentata con decine di migliaia di intruppati (non tanto e solo “fanatici”, ma assoldati appunto con i grandi finanziamenti di cui sopra, e/o forzati).  E qui si fonda anche l’alleanza tattica con gli Usa. Non trovando altre sponde, si è fatto ricorso a questo appoggio tattico, che in quella fase era vitale per non essere travolti dall’ondata jihadista.  Ma l’anima e il corpo della resistenza restava il movimento kurdo. Con gli obiettivi, di indipendenza e trasformazione socialista,   forgiati in una storia di decenni di durissimo processo rivoluzionario, con enormi sacrifici.  Culmine ne è la battaglia attorno a Kobane, vinta anche grazie alla copertura aerea statunitense, ma innanzitutto grazie alla grande forza e determinazione propria.

A quell’epoca avviene pure il grande movimento di opposizione interna in Turchia detto di “Gezy park”. Movimento che scuote in profondità la società e dà slancio a nuove generazioni militanti. Federatore sul piano elettorale ne diventa l’HDP – Partito Democratico dei Popoli – partito kurdo che riesce a convogliare buona parte di queste energie, di gran parte della sinistra più autentica della Turchia.  Si crea una dialettica fra questo sommovimento e quello che avviene in Kurdistan, inizia l’andata di migliaia di giovani verso il Rojava per sostenerlo nel duro scontro in atto.  Un movimento che si estende presto internazionalmente. Si forma una prima Brigata Internazionale di Liberazione, promossa dal MLKP(di Turchia e Kurdistan del nord). Sempre più si capisce che questo fronte è di interesse internazionalista, perché è una concreta esperienza rivoluzionaria di trasformazione sociale, affrontando nemici strategici come il fascismo turco (che si sta affermando con un espansionismo regionale proprio), la NATO di cui è pilastro, il jihadismo loro ausiliario.

Il regime risponde alla sua maniera: retate di massa contro l’HDP(che aveva ottenuto circa il 13% alle elezioni e quindi rappresentanza parlamentare) e sua messa al bando come “partito terrorista” legato al PKK.  Repressione poliziesca e militare contro le enormi manifestazioni dell’epoca, culminante in un attentato stragista nella città di Suruç, nel 2015, nel mezzo di una di queste manifestazioni, oltre ad altri attentati simili (attribuiti all’ISIS ma pilotati dai servizi segreti, fra i due esistendo un’organica collaborazione che emergerà presto con l’infiltrazione e poi invasione in Rojava).

Proprio in questi anni, fra il 2015/2017, sul filo della guerra contro l’ISIS e della progressiva liberazione sia del Rojava che di territori limitrofi, le forze rivoluzionarie si sviluppano notevolmente. Sia in quantità e capacità, sia in composizione essendo interetniche, dando alla componente femminile un ruolo di primo piano, e ancorando il militare al processo di trasformazione sociale e autogoverno popolare. Questa dialettica molto intensa è il motore del loro sviluppo, delle vittorie militari  come del coinvolgimento popolare attivo. L’altro aspetto fondamentale è la risonanza internazionalista, il suo diventare un riferimento come concreto percorso rivoluzionario di nuovo tipo. La prima conferma viene dalle organizzazioni comuniste di Turchia, che dopo aver già inviato loro forze sui fronti del Rojava, nel 2016 formano il Movimento Rivoluzionario Unito dei Popoli (HBDH). Nove organizzazioni e partiti armati, le più importanti: TKP/ML, MLKP, MKP e altre, salvo il DHKP-C, lo costituiscono insieme al PKK. E diventa operativo su vari fronti, anche all’interno della Turchia, con notevole efficacia. I punti di divergenza persistono, in particolare la questione delle alleanze tattiche (ciò che motiva la non adesione del DHKP-C), ma si considera giustamente che le esigenze della guerra e del processo rivoluzionario in atto primeggiano e fondano quest’inedita unità (quello che oggi avviene in Palestina..). Percorso che si alimenterà di grandi esperienze di sviluppo comune e oltre le frontiere, segnato dalla caduta in combattimento di decine di internazionalisti e ancor più di militanti delle suddette organizzazioni.

All’apice di questa fase sta la liberazione di Raqqa, segnando la sconfitta e il tramonto del potere territoriale dell’ISIS. Il prestigio del Rojava è al massimo, sia per la capacità militare sia per gli evidenti segni di trasformazione sociale che sta concretizzando, fra cui la crescita delle forze armate femminili e interetniche.

Lo Stato Turco, persa questa carta “ausiliaria”, decide allora di intervenire direttamente.  È il piano di invasione, progressiva, del Rojava. Piano che dovrà negoziare, via via,  con Usa e Russia,  sul filo dello scontro più generale in Siria e dintorni.  Gennaio 2018, le due potenze danno il via libera all’invasione sulla città di Afrin. Per la prima volta le forze rivoluzionarie si trovano a fronteggiare l’esercito turco in tutta la sua potenza (il secondo esercito della Nato) e devono ammettere la loro insufficienza.  Organizzano così l’evacuazione della popolazione, salvo un’esigua minoranza che diventerà poi base di guerriglia urbana.  Afrin costituisce comunque una sconfitta bruciante che porrà all’ordine del giorno uno sforzo di costante rielaborazione e adeguamento della strategia politico-militare.  Ciò che avverrà nonostante talvolta la supremazia militare turca obbligherà ad altri ripiegamenti. Dalla città di Serekaniye in particolare.  Nei territori occupati lo Stato turco opera pulizia etnica installando popolazioni sunnite inquadrate dalle milizie jihadiste ma, ciò nonostante, si scontra con una resistenza diffusa, collegata alla strategia militare delle forze YPG-YPJ.  Su un altro lato, quello iracheno, il fascismo turco si avvale della collaborazione, organica e storica, del PDK (feudo del clan Barzani). Collaborazione che ha la sua radice nel suo carattere reazionario e semifeudale, nonché nell’asservimento all’imperialismo.

Tuttavia il fronte kurdo, nel suo insieme, ha una forza di tutto riguardo. PKK in testa, ovviamente, si tratta di circa 100.000 effettivi in armi. Nei fatti la forza armata rivoluzionaria più consistente in tutta la regione (contando anche il PJAK kurdo iraniano) e con una compattezza ideologica e politica.  Lo stesso fascismo turco sa di non poterla distruggere, e così pure gli altri regimi.  Mentre la sua forza dirompente dà, periodicamente, forti impulsi all’opposizione politica interna, come si è visto anche nella ribellione dei mesi scorsi in Iran e allargando pure sul piano internazionale l’obiettivo di sconfiggere, abbattere il fascismo turco in quanto pilastro della reazione e della Nato. Tutto questo ha la sua radice, da lunghi decenni, nel programma, negli obiettivi di liberazione anticoloniale e sociale.  Programma e obiettivi praticati e concretizzati, relativamente alle possibilità di fase, e che fanno vivere un orizzonte socialista.  La radice marxista-leninista, per quanto rivista e innovata, ne è pur sempre il fondamento. La stessa loro efficacia politico-militare lo dimostra.

Nell’innovazione proposta con la teoria del confederalismo democratico, il punto cruciale è il superamento dei limiti e derive dell’esperienza storica socialista del Novecento.  Questione reale, al di là delle loro proposte.  Fra queste merita comunque attenzione la critica allo Stato-nazione.  Soprattutto nelle realtà che si dibattono fra de-colonizzazione e rinnovate forme del dominio imperialista, la forma Stato-nazione rivela ormai tutte le sue insufficienze, richiedendo nuove ipotesi e tentativi di soluzione che riescano sia a fronteggiare l’imperialismo sia a sviluppare un processo sociale rivoluzionario di carattere interetnico e internazionalista (d’altronde il meglio delle lotte di liberazione anticoloniale avevano ipotizzato l’unità araba e quella africana).  Questione enorme e del tutto aperta, e ragion per cui vanno apprezzati i tentativi, i passi concreti fatti in alcune aree del mondo fra cui la stessa Palestina, India, Filippine, America Latina e Africa.  Non si tratta di aderire ad un’ipotesi, ad una strategia specifica, bensì più semplicemente di coglierne la portata di interesse generale nel ricostituirsi di un campo rivoluzionario internazionale.

Come SRI, infatti, così ci siamo mossi in questi anni. Ci schieriamo solidariamente con le forze rivoluzionarie che ci sembrano autentiche, pur non “sposandone” nessuna (noi stessi, in quanto organismo di Fronte, comprendiamo elementi provenienti da percorsi e appartenenze diverse, comuniste, antimperialiste ed ex anarchiche).  Cerchiamo di valorizzare e socializzare gli aspetti utili di portata generale, appunto. Così le campagne a sostegno dei prigionieri politici, contro resa e pacificazione, e così l’aiuto concreto ad alcuni fronti di guerra come la campagna per maschere antigas e bendaggi “salvavita” alle forze kurde.  Si è poi integrata la rete internazionale “Rise Up 4 Rojava” che pratica azioni militanti di vario tipo (occupazioni, blocchi, sabotaggi) per dare carattere generale alla lotta contro il fascismo turco e l’ordine imperialista.

Ci sembra che proprio l’attuale tappa della guerra di liberazione per la Palestina ponga in evidenza questi elementi.  La necessità di far fronte unito e in una dinamica ampia, coinvolgente più popoli attraverso diverse entità statali. Mantenendo salda sia la lotta antimperialista sia la prospettiva rivoluzionaria socialista/comunista.

venerdì 29 dicembre 2023




A Roma e Napoli, iniziative contro Leonardo spa e ENI – Sabato 2 dicembre, corteo a Venegono Superiore (Varese) contro Leonardo e le “fabbriche di morte”

 

Nella manifestazione del 18 novembre di Bologna, e prima ancora a quella di Ghedi del 21 ottobre, si è detto che bisognava cominciare a fare azioni di denuncia e di boicottaggio attivo e diretto della macchina di guerra italiana e NATO che sostiene e alimenta il genocidio sionista a Gaza. Dopo i blocchi ai porti di Genova e di Salerno e lo sciopero per la Palestina del 17 ottobre indetto dal SI Cobas, diamo conto qui di due nuove iniziative che si sono svolte l’una a Roma lunedì 27, davanti alla sede di Leonardo spa, e l’altra oggi a Napoli al PolitecnicoIn entrambi i casi attivi promotori (insieme ad altre/i) compagne e compagni di area internazionalista.

Leonardo spa, nuovo nome dal 1 gennaio 2016 di Finmeccanica, è, in quanto conglomerato, la prima impresa di produzione militare dell’Unione europea (a proposito di Italia colonia…) in quanto ha riunito sotto il controllo di un’unica società finanziaria le aziende Agusta Westland, Alenia Aermacchi, Selex ES, Oto Melara, Wass, Fincantieri ed altre ancora specializzate nella produzione di morte.

Questo post era già pubblicato quando ci è giunta la notizia di un corteo contro Leonardo spa e le fabbriche di morte che si terrà a Venegono superiore (prov. di Varese) il prossimo sabato 2 dicembre, organizzato dal Comitato varesino per la Palestina, da Rete Varese senza frontiere e dal Centro di documentazione abbasso la guerra. Abbiamo subito provveduto, perciò, ad integrare questa notizia, e segnaliamo ai lettori che nel volantino che lo convoca c’è un importante riferimento al memorandum (bilaterale) di collaborazione in materia militare tra Israele e Italia siglato nel 2013, che ha accresciuto l’autonomia dell’Italia e della industria bellica italiana in ambito NATO.

Invitiamo tutti/e ad inviarci documentazione di ulteriori iniziative di questo tipo che vanno senza dubbio moltiplicate. (Red.)


I POPOLI IN RIVOLTA SCRIVONO LA STORIA                                        CON LA PALESTINA FINO ALLA VITTORIA!

“Il 7 ottobre il popolo palestinese ha ricordato al mondo di esistere, ha dimostrato che sono ancora i popoli a scrivere la storia. In Italia e in tutto ilmondo assistiamo a mobilitazioni senza precedenti, ridando forza ad una lottache dura da più di un secolo…”Così iniziava la convocazione della grande manifestazione del 28 ottobre, da parte degli organismi palestinesi presenti a Roma, facendo eco alla posizione unitaria della Resistenza Palestinese.
Una popolazione che ha sostenuto l’operazione di contrattacco del 7 ottobre perché disposta ad affrontare una guerra piuttosto che continuare a subire le quotidiane esazioni nel lager di Gaza, una prigione a cielo aperto per due milionidi persone. Una guerra che da parte degli oppressori colonialisti è diventata unferoce genocidio. Un genocidio che svela la realtà non solo in Palestina, ma ovunque nel mondo dove si impone il dominio imperiale delle sedicenti
democrazie. Una realtà che legittima ancor piu’ la resistenza! Come avviene su fronti analoghi, come quello delle popolazioni kurde, arabe, armene contro il fascismo turco, altrettanto genocida e servo della Nato.
La furia bellicista dell’Occidente si riversa direttamente anche qui con le conseguenze economico-sociali, il taglio generalizzato alle spese sociali, il ricattoenergetico, un impoverimento devastante. Mentre al malessere, alla rabbia montante, si oppone un’escalation repressiva con i continui decreti governativi, le operazioni giudiziarie, la violenza poliziesca, razzista e patriarcale, la segregazione e le stragi di migranti e operai ( Cutro, Brandizzo, …).   Ma la solidarietà cresce, si moltiplicano le azioni di boicottaggio dell’invio di armi ad
Israele con picchettaggi a porti, fabbriche e depositi.

LUNEDI’ 27 NOVEMBRE ALLE ORE 16:00, CHIAMIAMO UN PRESIDIO
DAVANTI ALLA DIREZIONE DI LEONARDO (EX FINMECCANICA) PIAZZA
MONTE GRAPPA, ANGOLO VIALE MAZZINI

Una grande lezione dalla Palestina, dal Kurdistan e dalle nostre comunità solidali: di fronte ad un sistema marcio che ormai scatena guerre ovunque e chemilitarizza la vita sociale non c’è altra possibilità che la nostra resistenza e, lottando, sviluppare le forze per costruire il cambiamento radicale cui aspiriamo.
Per una vita libera da oppressioni e sfruttamento, libera da uno Stato di guerra e
dalla violenza sistemica.


Napoli, OCCUPATA L’AULA LEOPOLDO MASSIMILLA DELLA FEDERICO II DI PIAZZALE TECCHIO, FUORI ENI E LEONARDO DALLE UNIVERSITÀ

Oggi come rete studentesca per la Palestina, laboratorio occupato climax e Friday for future Napoli abbiamo occupato l’università bloccando l’iniziativa di Eni all’interno dell’aula Massimilia.

Alle 14 si terrà all’interno dell’università, al posto dell’iniziativa, un momento pubblico per raccontare il progetto di devastazione ambientale che Eni perpetra sulla terra palestinese, complice del sistema di apartheid israeliano.

Eni- che vede come principale azionista lo stato Italiano- è tra le 6 società a cui sono state assegnate licenze per “esplorazione di gas naturale” in Palestina, dal ministro dell’energia israeliano.

Complice della distruzione dei Territori palestinesi, funzionali alla pulizia etnica perpetrata dall’occupazione sionista, Eni investe e finanzia l’apartheid israeliana.

Accogliamo l’appello di mobilitazione internazionale lanciato per la settimana dal 29 novembre al 7 dicembre dall’Università di Ramallah @birzeit.university.

Per questo non permettiamo e non permetteremo che i nostri spazi del sapere siano inquinati da aziende come Eni e Leonardo; non lasceremo che, chi sulla nostra pelle e sulla terra palestinese fa profitto, distrugge vite e ambiente distruzione, entri nelle nostre università.

Boicottiamo Eni! 

Fermiamo il genocidio palestinese!









 


Prepariamo le condizioni per la guerra di classe

Siamo in stato di guerra.  Siamo su un piano inclinato di terza guerra mondiale.

Il capitalismo avvitato in una crisi generale di ampiezza storica, di sovrapproduzione di capitale, ci ha ormai sprofondato nella sua spirale che porta alle distruzioni immani di cui ha bisogno per rilanciarsi: il capitalismo è distruttivo per sua natura propria, per le sue leggi interne.  E altro suo carattere è quello imperialistico che lo porta a ricorrenti guerre  per una nuova spartizione del mondo.  L’accanimento guerrafondaio e invasore della Nato viene da lontano, la guerra in Ucraina è solo l’ultimo atto,  fomentata con il golpe del 2014. Ma ovunque agisce così, e ovunque si creano focolai di scontro con gli imperialismi concorrenti.

Le ricadute sociali, economiche interne le conosciamo anche bene. In sintesi, creano uno stato di emergenza continuo, così aggravando a ogni tornante: impoverimento di massa, sfruttamento omicida sul lavoro, regime di segregazione per gli immigrati, riduzione di ogni protesta a questione di ordine pubblico, quindi repressione  e controllo sociale pervasivi.  Quello che si può definire il fronte interno dello stato di guerra, permanente.                    Dall’emergenza covid in poi si diffonde la percezione di tutto ciò, seppur in forme iniziali,talvolta confuse. La percezione di essere manipolati, intruppati, di sentirsi imporre una rete di controllo (in particolare tecnologico digitale), di essere sempre meno “liberi” e sempre più sfruttati, preparandoci al sacrificio estremo..

Questo vogliamo evidenziare per capire che prospettiva possiamo darci.  Il pacifismo è sempre stato ingannevole perché non va alle cause del problema, e poi per quale pace lottare? “La guerra nasce dalla loro pace come il figlio dalla madre (..) La loro guerra distrugge ciò che alla loro pace è sopravvissuto”(B. Brecht).                                                    Per contro ci sono anche  guerre giuste, necessarie: forse che dal nazismo, dal colonialismo, dallo schiavismo ci si è liberati con le civili proteste?  Così sui fronti attuali di resistenza alle nuove forme della stessa oppressione imperialista, ciò avviene armi alla mano e costruendo l’alternativa possibile di una autentica liberazione sociale.

Così l’offensiva della Resistenza Palestinese che, con incredibile efficacia, è riuscita a scardinare i reticolati del lager di Gaza e a portare un attacco devastante a Israele, alla sua protervia militaresca.  Così le forze Kurde e Internazionaliste che tengono testa al fascismo turco, alle sue feroci aggressioni che, in questi mesi hanno assunto le dimensioni di guerra dispiegata.  Nei due casi, poi, è la Nato la centrale strategica del dominio neocoloniale in tutto il Medio Oriente.

Come SRI ci siamo formati in solidarietà ai/alle prigionieri/e espressione di lotta rivoluzionaria, passata e presente. In Italia ce ne sono incarcerati addirittura da più di 40 anni, ed alcuni sottoposti al regime tortura del 41bis. Come i più noti, Alfredo Cospito e Nadia Lioce, resistono proprio perché rivendicano e rappresentano la tendenza proletaria alla guerra rivoluzionaria.  Sostenere questi/e prigionieri/e significa sostenere il senso della loro militanza, assumere dentro i nuovi movimenti le acquisizioni dei precedenti, e degli attuali, cicli di lotta. Fra cui, ovviamente, l’internazionalismo militante è di primaria importanza!

Inutile disperdersi su obbiettivi illusori, non fermeremo mai nessuna delle loro guerre, non ci sarà mai un nuovo ordine armonioso “multipolare”.  L’unica prospettiva è quella storica “trasformare la guerra dei padroni in guerra contro i padroni”. Quella che ha aperto la strada alle rivoluzioni e alle liberazioni. Certo, oggi sembra lontana in situazioni come la nostra, ma possiamo orientare le nostre lotte, la nostra costruzione di forze in quella prospettiva.  Creando solidarietà e fronti di lotta comuni, e oltre le frontiere, sviluppando le pratiche conflittuali adeguate.

L’IMPERIALISMO È LA PRIGIONE DEI POPOLI!                                                                             LA SOLIDARIETA’ È L’ARMA DEGLI OPPRESSI!                                                                      LOTTA DI CLASSE  RIVOLUZIONE!       

Ghedi 21 ottobre 2023

Proletari Torinesi – SRI (idem su fb)                                                                             Collettivo Contro la Repressione per un Soccorso Rosso Internazionale – ccrsri.org

 

 

 

 

 

 


 “L'imperialismo è un'epoca di crescente oppressione delle nazioni di tutto il mondo da parte di un pugno di "grandi" potenze, e perciò la lotta per la rivoluzione socialista internazionale contro l'imperialismo è impossibile senza il riconoscimento del diritto delle nazioni all'autodecisione...”*

In Palestina 2023: la Nemesi dell’11 Settembre 2001...

Gli avvenimenti in Palestina di questi giorni non rappresentano un “nuovo” 11 settembre 2001, ma la sua Nemesi. Esiste una grande differenza, infatti, da quel momento storico contraddistinto dalla “fine della Storia” propagandata dall’imperialismo NATO-sionista - col vento in poppa della fine della minaccia sovietica -, in cui l’attentato alle Torri Gemelle ed al Pentagono, fu l’occasione da parte “occidentale” per scatenare un “Ventennio di Guerre al Terrore” che, in rapida successione, portò all’invasione/occupazione militare NATO di Iraq, Afghanistan, Libia, Siria e Yemen.

Quella dinamica storico-politica di espansione strategico-militare imperial-sionista è irripetibile, al giorno d’oggi. Non siamo di fronte ad un nuovo “ciclo di espansione” neocoloniale, bensì l’iniziativa militare della Resistenza palestinese rappresenta l’accelerazione della fase terminale proprio di quel ciclo: la sua Nemesi, appunto.

Un master plan pazientemente definito dalla Resistenza dei popoli e delle nazioni – che non sono l’ideale dei comunisti… -, di quell’area geo-strategica (Asia Occidentale), che al prezzo di milioni di morti e di una articolata e complessa azione politico-diplomatica, stanno ricomponendo un quadro strategico frammentato dal divide et impera della NATO a trazione sionista. Approfittando innegabilmente del Vento d’Oriente che spira dall’Est asiatico, in impetuoso sviluppo socio-economico ed in grado di contendere il monopolismo economico-finanziario del G7 a guida USA. Una “ventata” contestuale ma non causale, come qualche “campista” eurocentrico immagina e definisce.

Gli avvenimenti in Palestina, più realisticamente, sono causati dalla persistenza nei decenni della Questione Sionista (Nakba 1948) in quanto movimento politico-ideologico, non dalla Guerra in Ucraina o dalla contrapposizione sistemica USA-Cina, che rappresentano solo la cornice del conflitto, ma non la sua causa, va ribadito. Per capirlo basti pensare che alla proclamazione dello Stato di Israele (1948), la Repubblica Popolare Cinese (1949) neanche esisteva e che mentre la Russia faceva ancora parte del G8, la NATO invadeva quasi tutta l’area mediorientale – dall’Afghanistan alla Siria - ed i sionisti radevano, ripetutamente, al suolo Gaza e Libano…

La causa profonda degli avvenimenti in corso, va ricercata nel diffuso senso antisionista, anticolonialista e di conseguenza antioccidentale mediorientale, in quanto TUTTI i fenomeni di Colonizzazione, Invasione e Occupazione dell’area hanno quella stessa matrice (occidentale). Tutti quelli che sono stati sorpresi dagli eventi in Palestina, a differenza del prudente Pollicino, non hanno voluto seguire le briciole disseminate sul percorso degli avvenimenti. Briciole come puntini che se uniti tra di loro, disegnano il master plan definito dagli strateghi antisionisti e anticolonialisti nel tempo.

Il drastico ridimensionamento delle presenza NATO in Iraq (2021), la cacciata della NATO dall’Afghanistan (2022), gli Accordi tra Iran e Arabia Saudita e la conseguente pace (armata) in Yemen (2023), il rientro della Siria nella Lega Araba (2023), la fine delle sanzioni ONU all’Iran (2023) sono solo i più visibili puntini del disegno-prologo degli avvenimenti in terra di Palestina. Solo l’euroatlantismo neocolonialista, marchiato dal suo latente razzismo, sottovalutandoli ha letto quegli avvenimenti “slegati” tra di loro, anziché come il risultato di una visione strategica antagonista ai propri stessi piani.

La mancanza di una analisi concreta della realtà concreta purtroppo attanaglia anche il nostro movimento di classe, poco rivoluzionario, a dire il vero. Leggere i fatti in Palestina come una “guerra (inter)imperialista” anziché come “guerra (anti)coloniale” rappresenta una strabica semplificazione, incapace di prevedere le conseguenze del salto di qualità in corso a quelle latitudini. La guerra coloniale ha, infatti, caratteristiche differenti da quella imperialista: pretendere che i colonizzati palestinesi fraternizzino con i coloni sionisti è un’assurdità storico-politica che non tiene conto della realtà e di come questa si manifesta.

Una realtà fatta di Colonie, Occupazione, Apartheid, la cui sistematica distruzione è una imprescindibile conditio sine qua non per la fraternizzazione di classe tra gli sfruttati palestinesi – compresi i cosidetti “arabo-israeliani”, segregati nella Palestina Storica – e gli autodefiniti ebrei-israeliani, finalmente de-sionistizzati. Non legare politicamente la sorte della desionistizzazione della Palestina alla cacciata della NATO da tutta l’Asia Occidentale, obiettivamente rappresenta una visione teorica reazionaria, contraria alla condizione storica e politica necessaria per passare dalla guerra coloniale alla guerra di classe.

AL FIANCO DELLA RESISTENZA ANTICOLONIALISTA, ANTISIONISTA, ANTIMPERIALISTA!

FUORI LA NATO E IL SIONISMO DAL MEDIORIENTE!

venerdì 22 dicembre 2023

 


I sindacati palestinesi chiamano la classe operaia internazionale ad un'azione immediata
Fermare ogni sostegno ai crimini di Israele!
I lavoratori di tutto il mondo chiedono: PALESTINA LIBERA


Fratelli e sorelle, lavoratori di tutto il mondo

Dalla Palestina insanguinata, la classe operaia palestinese e i nostri sindacati inviano il nostro orgoglioso saluto e la nostra immensa gratitudine ai milioni di persone che hanno invaso le strade delle città di tutti i continenti gridando PALESTINA LIBERA!

Contro i loro governi, le organizzazioni dell'imperialismo, gli Stati Uniti, la NATO, l'Unione Europea, i popoli del mondo sono dalla parte del nostro popolo, dalla parte giusta della storia, che in questi giorni sta scrivendo con il sangue dei palestinesi le pagine del più grande crimine del XXI secolo.

Sono tempi drammatici. Ogni ora, ogni minuto, ogni secondo che passa, un altro bambino palestinese viene ucciso da Israele. Le nostre lacrime si sono prosciugate, così come si sono prosciugate l'acqua, il cibo, la benzina e l'elettricità nella più grande prigione del mondo, a Gaza, la prigione di 2 milioni di anime.

Quello che ci resta è la speranza! La speranza che il nostro popolo non sia solo contro la brutale e ingiusta occupazione israeliana! Ci resta la speranza che i popoli, i sindacati militanti del mondo, la classe operaia mondiale si alzino ancora una volta in piedi e difendano i loro fratelli e sorelle. In ogni paese del mondo i sindacati devono diffondere il nostro messaggio!

Contro i governi che calpestano i diritti del proprio popolo e sostengono lo Stato assassino di Israele, chiediamo:
Fermare ogni sostegno, ogni collaborazione con lo Stato assassino di Israele!

Ai sindacati di ogni paese di sviluppare azioni contro la macchina di morte della NATO e degli Stati Uniti che sostengono l'assassinio di massa del popolo palestinese.
I sindacati di ogni paese devono porre ostacoli all'armamento della mano che ci uccide. Impedire l'armamento militare ed economico di Israele.
Esprimere una condanna di massa contro i governi e le multinazionali che perseguitano la solidarietà con il popolo palestinese.
Rafforzare le azioni congiunte dei sindacati militanti del mondo nella lotta per LA PACE E UNA PALESTINA LIBERA.


Ve lo promettiamo: Il nostro popolo non si sottometterà!
Non importa quanto ci facciano male, non importa quanto ci dissanguino, la nostra lotta continuerà perché abbiamo ragione e alla fine il Popolo vincerà!
Questa terra si chiamava Palestina
E il suo nome è diventato Palestina


General Union of Palestine Workers - GUPW
Labor Union Coalition - Palestine


 

Cemil Bayık parla dei nuovi attacchi turchi al Rojava e dei recenti sviluppi in Medio Oriente.

giovedì 26 ottobre 2023

 

Il 1° ottobre, due militanti del PKK, Rojhat Zîlan e Erdal Şahin, hanno compiuto un attacco ad Ankara che ha scosso il Paese. Lo Stato turco ha usato questo fatto come scusa per attaccare il Rojava [Siria del Nord].

Cosa c’entra l’azione di Ankara con gli attacchi al Rojava?

Prima di tutto, vorrei rendere omaggio ai compagni Rojhat ed Erdal. Questi amici hanno compiuto un dovere storico per il popolo curdo e per l’umanità. Hanno compiuto un grande sacrificio affrontando coraggiosamente il nemico. Hanno portato a termine la loro azione contro il Ministero degli Interni da dove viene controllato il genocidio curdo. Il nemico sta cercando di eliminare il popolo curdo e i nostri compagni hanno inviato un messaggio con la loro azione. In pratica diceva: “Volete eliminare il popolo curdo, ma noi non lo accettiamo. Coloro che vogliono eliminarci devono sapere che saremo noi a eliminare loro per primi”. Il popolo turco non può convivere con il genocidio del popolo curdo. Chi commette un genocidio contro il popolo curdo sta commettendo un genocidio a sua volta”. Con questa azione, gli amici hanno rivelato il vero volto dello Stato turco. Pertanto, questa azione è storica.

Con questa azione, la sporca propaganda dello Stato turco che afferma: “Abbiamo distrutto il PKK. Il PKK non esiste più, non può fare nulla, abbiamo assicurato la pace in Turchia, uccidiamo tanti guerriglieri ogni giorno” è stata vanificata.

È un dato di fatto che un governo che vive di omicidi e di propaganda è un governo fascista e genocida. L’azione ad Ankara ha reso nulla questa propaganda. Questa azione ha dimostrato ancora una volta che lo Stato turco sta ingannando tutti. Anche se c’è una guerra così grande, il governo dell’AKP-MHP la nega e cerca ancora di negare l’esistenza della questione curda. Cercano di nascondere la guerra in corso e cercano anche di nascondere alla società i soldati morti. Si propagandano sempre che stanno uccidendo i guerriglieri e che stanno mettendo fine al PKK, ma questa azione ha dimostrato che tutto questo è una menzogna. Il nemico è rimasto scioccato perché l’azione ha rivelato l’intera realtà dello Stato turco, perché ha annullato la loro propaganda, perché ha portato la realtà di questa guerra intensiva nel mezzo del loro Paese. Pertanto, non sapevano cosa fare. Volevano spezzare l’effetto di questa azione con dei contrattacchi.

Ogni giorno arrestano curdi nel Kurdistan settentrionale [Turchia sud-orientale] e chiamano questi arresti e detenzioni “Operazione Eroi”. Che eroismo hanno? Voglio dire, cosa hanno fatto per diventare eroi? Hanno persino messo questo nome per ingannare il popolo. I cittadini turchi devono chiedere conto ai responsabili degli arresti. Devono chiedersi: “È eroismo fare irruzione nelle case con tutte le forze, arrestare le persone, torturarle, insultarle, metterle in prigione? È questo l’eroismo?”. Ogni giorno lanciano attacchi nelle zone di difesa di Medya [aree controllate dalla guerriglia], facendo propaganda su quanti guerriglieri uccidono. Ma questa rimane solo propaganda. Perché anche quando non hanno martirizzato nemmeno un guerrigliero, ingannano in questo modo l’opinione pubblica e i Paesi stranieri. In realtà, il loro obiettivo era quello di lanciare un nuovo attacco al Rojava. Avevano già preso la decisione di attaccare il Rojava. A questo proposito, Erdoğan ha detto apertamente: “Abbiamo preso una decisione e stiamo aspettando il momento giusto”. Hanno attaccato il Rojava usando l’attacco ad Ankara come scusa. Hanno detto: “Gli aggressori provengono dal Rojava. Il Rojava è pericoloso per noi, quindi ci vendicheremo”. In questo modo hanno messo in pratica la decisione che avevano già preso in precedenza. Loro stessi e il mondo intero sanno che quegli amici non provenivano dal Rojava.

Ma lo Stato turco ha attaccato il Rojava perché è nemico di tutto ciò che è curdo. Prima di attaccare, hanno detto che le centrali elettriche, le fabbriche, in altre parole, qualsiasi cosa si trovi sul terreno e nel sottosuolo è il loro obiettivo, il loro esercito e l’intelligence attaccheranno tutto. Hanno minacciato che ogni terza parte deve ritirarsi, che nessuno deve ostacolarli. Hanno affermato che: “Chiunque si opponga a noi, prenderemo di mira anche loro”.

In realtà, la Turchia da sola non ha il potere di condurre questi brutali attacchi contro il Rojava. È stato per decisione della NATO e dell’America che hanno attaccato tutte queste località, perché è uno Stato membro della NATO. Se la NATO non dà il permesso, la Turchia non può compiere questi attacchi contro il Rojava e uccidere persone. Se non avessero approvato le decisioni dello Stato turco di attaccare, lo Stato turco non sarebbe stato in grado di compiere questi attacchi, e se lo avessero fatto, si sarebbero opposti. Lo Stato turco non obbedisce né alle leggi né alla morale della guerra. Fa quello che vuole. Perché vuole eliminare i curdi, ecco perché bombarda ovunque. Distrugge spazi abitativi, centrali elettriche, serbatoi d’acqua, magazzini di grano, impianti petroliferi, ospedali, fabbriche della popolazione. Come farà quella gente a vivere lì se tutto viene distrutto?

Questa è una grande immoralità e un crimine di guerra. Chi si arrende a questo sta collaborando con lo Stato turco. Il nostro popolo lo ha già dichiarato. Hanno detto che non lo accetteranno. Non lasceranno le loro terre, qualunque cosa facciano. Hanno detto: “Forse moriremo, ma moriremo nella nostra terra”. Hanno mostrato una posizione così determinata. Vorrei cogliere questa opportunità per ringraziare e congratularmi con il popolo del Rojava e commemorare i martiri del Rojava con gratitudine e porgere loro il mio rispetto e la mia stima.

Mentre Erdoğan compie questi attacchi contro il Rojava, dall’altra parte si presume che protegga Gaza. Come valuta questa situazione?

Erdoğan, la Turchia, il governo e l’opposizione si comportano in modo ipocrita. Credono di essere astuti e pensano di poter nascondere ciò che stanno facendo sotto gli occhi di tutti e che nessuno capirà. Si suppone che stiano proteggendo Gaza e la Palestina, ma chi prende come base il genocidio dei curdi non potrà mai essere amico del popolo palestinese. Ci sono due problemi fondamentali in Medio Oriente. Uno è la questione palestinese e l’altro è la questione curda. Finché questi due problemi non saranno risolti, ci saranno guerre e massacri e non ci sarà spazio per la libertà e la democrazia in Medio Oriente. Quando questi due problemi saranno risolti, il Medio Oriente sarà in pace, ci sarà un cambiamento, si svilupperanno la democrazia e la libertà. Le potenze egemoniche non vogliono mai che questi problemi vengano risolti, perché su di essi hanno costruito il loro sistema. Il sistema della modernità capitalista non vuole mai che i problemi vengano risolti. Per questo motivo, invece, crea sempre nuovi problemi.

Il nostro popolo, il popolo palestinese e i popoli della regione devono comprendere bene questa situazione. Vogliamo sviluppare un’alleanza curdo-araba. Perché sono questi i popoli del Medio Oriente che vengono lacerati, che affrontano gravi problemi, che subiscono ingiustizie, che affrontano costantemente guerre e genocidi. Così come tutti coloro che creano questi problemi sono insieme, i popoli curdo e palestinese devono opporsi insieme. Ecco perché parliamo di un’alleanza curdo-araba. Gli arabi sono stati divisi in 22 Stati e hanno diviso i curdi in 4 parti. Sono queste forze a succhiare il sangue del popolo curdo e arabo. Ecco perché i popoli curdo e arabo devono sviluppare la loro alleanza. Se questa alleanza si crea, può essere un grande passo verso la liberazione. Il problema del popolo palestinese non è un problema sorto solo oggi. È una questione sociale e storica. Per questo motivo il nostro movimento ha preso come base il popolo palestinese e la sua lotta nei suoi primi anni. Li ha trovati giusti, ha preso parte alla loro lotta e ne ha pagato il prezzo. Uno dei motivi per cui si è sviluppata la congiura internazionale contro il nostro movimento è il rapporto che abbiamo instaurato con i palestinesi e gli arabi. Dal giorno della sua fondazione, il nostro movimento si è basato sull’instaurazione di relazioni con i palestinesi e gli arabi. Siamo stati d’accordo con la loro lotta.

Ma vorrei fare alcune considerazioni. I metodi di Hamas non sono giusti e vanno criticati. Ma questo non giustifica l’utilizzo dei metodi sbagliati di Hamas come pretesto per attaccare il popolo palestinese. Per quanto i metodi di Hamas siano sbagliati, gli attacchi contro il popolo palestinese con questo pretesto sono altrettanto sbagliati. In questo modo, la situazione non si risolverà mai, ma si aggraverà. E causerà persino nuovi problemi nella regione. Questo è molto pericoloso. Pertanto, il popolo palestinese e quello ebraico dovrebbero riflettere su come vivere come fratelli e sorelle. Non dovrebbero insistere su uno Stato nazionale, perché lo Stato nazionale non risolverà mai i loro problemi. Anzi, peggiora i problemi di giorno in giorno. Alcuni sostengono che la soluzione per la Palestina sia uno Stato nazionale. Questo non è vero. Anche coloro che hanno uno Stato nazionale nella regione hanno ancora problemi e sono sfollati dalle loro terre. Quindi non è questa la soluzione. La soluzione sta nel paradigma di Rêber Apo. Lo sviluppo della “nazione democratica” è la soluzione. Dovrebbero prendere questo come base. Poi potranno risolvere i loro problemi. L’ultimo esempio di come lo Stato nazionale non sia una soluzione è la guerra armeno-azera. Entrambi hanno uno Stato. Ma ci sono grandi guerre e persino genocidi nelle loro regioni. Quindi, questa non è una soluzione. La soluzione è la filosofia di Rêber Apo, il paradigma che ha sviluppato per l’umanità. Tutti dovrebbero prenderla come base. È l’unico modo per risolvere i problemi.

La guerra tra l’esercito di occupazione dello Stato turco e la guerriglia continua. Cosa può dirci della guerra in corso nelle zone di difesa di Medya?

Ricordando i compagni Rojhat ed Erdal, così come i martiri degli Asayish a Dêrik e i martiri di Amed, vorrei commemorare ancora una volta tutti i martiri della lotta con gratitudine e rispetto. In questo momento è in corso una grande guerra tra noi e lo Stato turco. Lo Stato turco sta sviluppando molte tattiche per nascondere questa realtà. Ad esempio, non rivela mai l’identità dei suoi soldati morti. Ne annunciano solo uno o due. Inoltre, fanno costantemente dichiarazioni propagandistiche sul fatto che abbiamo ucciso tanti guerriglieri. Creano nella società la percezione di aver eliminato la guerriglia. A volte annunciamo compagni che sono stati martirizzati, e 10, 20 giorni dopo, forse anche un mese dopo, lo Stato turco dichiara di aver recentemente martirizzato questo compagno nell’ambito di un’operazione di intelligence. In questo modo cercano di ingannare tutti. Creano la percezione di aver avuto successo, di aver ottenuto dei risultati.

Per questo motivo, bombardano in continuazione e utilizzano anche armi vietate in tutto il mondo. Caricano i droni con esplosivi chimici e mirano a lanciarli sulle porte dei tunnel. In questo modo, vogliono impossessarsi dei tunnel e martirizzare i loro amici. Nonostante tutto questo, non stanno ottenendo risultati. I guerriglieri stanno dando prova di grande eroismo nelle condizioni più difficili. Vorrei congratularmi con i miei compagni dell’HPG e dell’YJA Star in questa occasione. Sono eroi non solo del popolo curdo, ma anche dell’umanità. Perché difendono l’umanità. Difendono i valori umani. Se non fosse stato per il KDP, lo Stato turco avrebbe perso questa guerra. Se lo Stato turco insiste ancora nella guerra, è solo con il sostegno del KDP. Il popolo curdo deve capirlo molto bene. Lo Stato turco, in particolare i media dell’AKP, sta conducendo una guerra psicologica e speciale. Proprio come Goebbels ingannava la gente con la sua propaganda durante l’era hitleriana in Germania, i media dell’AKP stanno facendo lo stesso. I loro canali mostrano giorno e notte come producono armi e quanto sia potente la loro tecnologia. In altre parole, stanno inviando il messaggio che lo Stato turco è militarmente molto forte, che è una potenza mondiale, che nessuno può più stare di fronte alla Turchia.

Stanno facendo una sporca propaganda. “Il PKK non è un movimento per la libertà, dietro di esso ci sono Stati stranieri che non vogliono che la Turchia si sviluppi e diventi più forte. Vogliono impedire la crescita della Turchia aiutando il PKK. Se queste potenze straniere non aiutano il PKK, questo non può sopravvivere. Questi Stati stanno usando il PKK per i loro interessi. Il PKK non vuole che scopriamo le risorse minerarie della Turchia e le mettiamo al servizio del popolo. Se scopriamo queste risorse minerarie, il popolo turco diventerà molto forte e si opporrà a tutti nel mondo. Se il popolo turco è povero, è a causa del PKK. Combattendo il PKK, gli Stati imperialisti ci impediscono di estrarre il petrolio, ci impediscono di estrarre i minerali, in modo che la Turchia rimanga povera”. Questo è il modo in cui fanno propaganda, quello che dicono alla gente.

In questo modo, vogliono legittimare la distruzione del PKK e il genocidio del popolo curdo. In questo modo intendono ottenere il sostegno del popolo turco e dei popoli del mondo. Tuttavia, è l’America stessa che ha portato l’AKP al potere. Sono l’America, la NATO e alcuni Stati europei a sostenere l’esecuzione della politica di genocidio in Turchia. Con il loro aiuto, rimangono al potere e portano avanti una politica di genocidio. Tutte le armi che usano appartengono alla NATO. C’è una cosa in cui l’AKP-MHP è esperto. È quella di capovolgere i fatti. È così che ingannano tutti. L’AKP sta applicando la stessa tattica che Goebbels applicò al popolo tedesco. Ecco perché nessuno sa cosa sia la verità e cosa siano le bugie. Sta conducendo una guerra così speciale. È così che porta avanti e rafforza il suo potere. Il nostro popolo e il popolo turco devono capirlo bene.

Ci sono stati negoziati tra il KDP e lo Stato turco, e anche tra l’Iran e lo Stato turco. Ci sono stati attacchi da parte dello Stato turco contro il campo profughi di Mexmûr [Makhmour] e ci sono attacchi quotidiani contro il Kurdistan meridionale. Come valuta i negoziati tra lo Stato turco e il KDP e lo Stato turco-iraniano?

Il KDP, in particolare la famiglia di Masoud Barzani, ha legato il suo destino alla Turchia. Sono completamente al servizio dello Stato turco. Lo aiutano non solo nel Kurdistan meridionale, ma ovunque. Inoltre, il KDP sta conducendo una speciale guerra psicologica contro il PKK. Militarmente, a livello di intelligence, in tutti i sensi, sta combattendo contro il PKK schierandosi con lo Stato turco. Ma anche al di fuori del Kurdistan meridionale, il KDP vuole tagliare i legami del PKK con tutti, isolarlo nel mondo, accerchiarlo, prenderne il controllo o eliminarlo. Ad esempio, alcuni nostri amici ci dicono: “Il KDP vi è più ostile dei turchi”. È vero. Barzani non solo sta aiutando lo Stato turco contro di noi nelle aree curde di Metîna, Girê Cudi e Avaşin, ma sta anche servendo la politica del genocidio. La nostra società deve chiedere conto di questo. La politica del KDP legittima tutto ciò che lo Stato turco fa contro il popolo curdo.

Inoltre, il rappresentante del KNK è stato assassinato a Hewlêr [Erbil], ma fino ad oggi non hanno rilasciato una sola dichiarazione, non hanno condannato, non hanno arrestato una sola persona. Ma quando è stata intrapresa un’azione contro la polizia turca ad Ankara, il KDP ha immediatamente condannato l’azione. Questo dimostra anche lo stato del KDP, da che parte sta e al servizio di chi. Perché ha condannato l’azione di Ankara? Quell’azione non era contro di loro, ma contro le forze di sicurezza turche che stanno commettendo un genocidio contro i curdi. Invece di compiacersene, la condannano. Ma perché non condannano coloro che hanno martirizzato Deniz? Perché non arrestano quell’assassino? Dicono: “Io sono il governo, ho il potere, ho le leggi, nessuno può fare niente qui”. In effetti, hanno stabilito un tale potere a Hewlêr che nessuno può muoversi. Ci sono telecamere ovunque. L’edificio del KNK è costantemente sorvegliato. Come è possibile che Deniz sia stato ucciso lì e che il KDP non arresti nessuno? Perché anche loro sono coinvolti in questo omicidio. Il KDP vuole trascinare l’Iraq nella politica che sta conducendo insieme allo Stato turco. Sta lavorando anche per questo. Il rappresentante iracheno ha avuto colloqui ad Ankara per giorni. Vogliono includere l’Iraq nei loro piani. Stanno cercando un modo per distruggere il PKK e completare il genocidio contro il popolo curdo.

A questo proposito, voglio mettere in guardia l’Iraq. L’Iraq non deve cadere nei giochi dei Barzani e dello Stato turco. Non hanno alcun interesse in queste politiche. Dovrebbero chiedere alla Turchia di risolvere il problema curdo con mezzi democratici. Gli interessi dell’Iraq vanno in questa direzione. Schierarsi con lo Stato turco e con i Barzani ed essere ostili ai curdi causerà grandi danni all’Iraq. I Barzani vogliono insediarsi in alcuni luoghi e l’insediamento dei Barzani significa l’insediamento dello Stato turco. Perché lo Stato turco e i Barzani stanno agendo insieme in molti luoghi, combattendo contro di noi. In alcuni luoghi, le loro forze sono a 100-150 metri di distanza l’una dall’altra. Alcuni luoghi sono stati costruiti dai turchi, ma quando se ne sono andati in inverno, li hanno consegnati ai Barzani. Ora i turchi li hanno attaccati di nuovo e hanno dato loro gli avamposti che i turchi avevano consegnato. Quindi stanno agendo insieme. Lo Stato turco ha dominato il Kurdistan meridionale in tutti i sensi. Hanno reso il Behdinan come una provincia dello Stato turco. Lo Stato turco si è insediato in ogni area. Agiscono in base a ciò che vuole lo Stato turco. In questo modo, il KDP serve completamente la politica di genocidio dello Stato turco. Tutti dovrebbero capirlo in questo modo.

Vuole aggiungere qualcosa?

I nostri amici internazionali hanno avviato una campagna per la libertà fisica di Rêber Apo e per il riconoscimento dello status del popolo curdo. La campagna cresce di giorno in giorno. Ora dobbiamo fare la nostra parte, partecipare alla campagna e portarla a termine. Questo è ciò che viene chiesto al nostro movimento e al nostro popolo. Pertanto, tutti i membri del nostro movimento, indipendentemente dalla loro posizione e dal loro ruolo, devono partecipare a questa campagna. Deve svolgere tutto il suo lavoro e le sue attività in modo legato a questa campagna. Dobbiamo agire su questa base fino alla conclusione della campagna. Questo è il nostro lavoro principale. Il ruolo principale spetta alle donne e ai giovani. Credo che le donne e i giovani saranno i promotori di questa iniziativa. Rafforzeranno la campagna.

Poiché siamo un movimento giovanile, mi rivolgo soprattutto ai giovani: dovete partecipare a questa campagna sviluppata dai nostri amici internazionali con tutto ciò che avete e garantire una forte partecipazione alla guerriglia. Perché siamo un movimento giovanile. I giovani devono prendere come base la guerra rivoluzionaria contro il genocidio e la guerra speciale. Su questa base devono adempiere ai loro doveri e alle loro responsabilità. Il nemico impone l’eroina, la violenza della prostituzione e lo spionaggio, e vuole far marcire la società in questo modo. D’altra parte, sta imponendo Hizbul-Kontra alla società. “Se non volete violenza, eroina e spionaggio, dovreste rivolgervi a Hibul-Kontra”, dicono. Stanno conducendo questa politica. È compito dei giovani vanificare questa politica. I giovani devono sollevare la lotta contro la violenza, lo spionaggio e l’eroina. Devono sapere che la politica dello Stato turco nella nostra società, soprattutto tra i giovani, è molto pericolosa. I giovani devono opporsi a questa politica, organizzarsi e partecipare alla guerra popolare rivoluzionaria.

 

mercoledì 5 luglio 2023

 



Pubblichiamo qui di seguito un'analisi in diretta dagli avvenimenti francesi, da parte di un militante. Punto di vista condivisibile o meno, sui vari punti, comunque utile per le informazioni e le valutazioni, nonché sulle questioni di prospettiva e di estensione ai Paesi dell'area europea. 

Tuoni e lampi di rabbia. Brevi annotazioni dalla Francia

I. Apparatus. A partire «dagli anni Novanta si è manifestata appieno una serie di cambiamenti sociali covati lentamente nel periodo precedente, cambiamenti che hanno messo in risalto l’avvento di una nuova epoca parecchio più inquietante della precedente. Il passaggio da un’economia basata sulla produzione a un’altra fondata sui servizi, il dominio delle finanze sugli Stati, la deregolamentazione dei mercati (incluso quello del lavoro), l’invasione delle nuove tecnologie con conseguente artificializzazione dell’ambiente vitale, l’auge dei mezzi di comunicazione unilaterale, la completa mercificazione e privatizzazione del vivere, l’ascesa di forme di controllo sociale totalitarie sono realtà sopravvenute sotto la pressione di nuove necessità, quelle imposte da un mondo in cui regnano condizioni economiche globalizzanti. Tali condizioni possono ridursi a tre: l’efficacia tecnica, l’accelerazione della mobilità e l’eterno presente» (Miguel Amorós). Ebbene, a onor del vero, in Francia, questo processo è sempre stato accompagnato da movimenti di protesta e lotte, rivolte e violenze urbane.

Inoltre oggi, in un contesto di Guerra, Crisi climatica, Carovita e Ristrutturazione del Capitale i risultati nefasti delle politiche neoliberiste sono sotto gli occhi di chiunque. Gli immigrati, gli esclusi, gli emarginati, i poveri, sono e restano per questo Apparato tecno-scientifico-militare solo “materiale di scarto”; dunque, come la questione ambientale diventa questione tecnica, la questione sociale diviene mera questione penale. In Francia l’impianto socialdemocratico, lo «sviluppo dell’economia digitale», la «France hyper-innovante», la «start-up nation», fanno il paio con le merci saccheggiate, i casseurs e la guerra civile molecolare.

II. Contraddizioni. Corrosa la fase dello Stato sociale assistenziale, del dialogo e della mediazione sociale, del riformismo e dell’Amministrazione “amica” e vicina al disagiato e all’emarginato, esaurito il ruolo del recuperatore e del sociologo, il “prestigio” del mediatore e del mullah, non resta che l’atomizzazione socio-culturale. Allora, se da una parte sta prendendo sempre più forma la “città intelligente”, con i suoi sensori e le sue fibre ottiche, le sue telecamere e i suoi apparecchi di riconoscimento facciale, dall’altra abbiamo così l’utente col suo iPhone ma spossessato dei mezzi linguistici, depauperato e rimbecillito. Siamo di fronte ad un mix letale ed esplosivo le cui componenti sono fatte di neocolonialismo ed ecologismo di facciata, politiche integrazioniste e razzismo di Stato, telelavoro e nuove forme di sfruttamento, nuove merci scintillanti ed esclusione, ideologia produttivista e personale sanitario precario, Transizione ecologica e messa al bando dei movimenti ecologisti (vedi il gruppo de Les Soulèvements de la Terre messo fuori legge la scorsa settimana). L’intuizione del «dislivello prometeico» (Günther Anders), per cui «la nostra propria metamorfosi è in ritardo; la nostra anima è rimasta molto indietro in confronto al punto a cui è arrivata la metamorfosi dei nostri prodotti, ossia del nostro mondo», è lapalissiana adesso. Fluidità, flessibilità, assenza di relazioni stabili, separazione generalizzata, violenza “muta” e irrazionale, stress, frenesia, malcontento e psicofarmaci: questa l’essenza dell’ambiente urbano nell’attuale società; che abiti in periferia o al centro, in una metropoli o in un piccolo Comune, questo è il modus vivendi del neocittadino. Già nel 1967 Guy Debord, né La società dello spettacolo, sottolineava il fatto che «Il momento presente è già quello dell’autodistruzione del centro urbano. […] i momenti di riorganizzazione incompiuta del tessuto urbano si polarizzano in modo precario intorno alle “fabbriche di distribuzione” che sono i supermarket giganti costruiti su un terreno nudo, su uno zoccolo di parking; e questi templi del consumo rapido sono essi stessi in fuga nel movimento centrifugo che li respinge lontano, man mano che divengono a loro volta dei centri secondari sovraccarichi, dato che hanno portato a una parziale composizione dell’agglomerato. Ma l’organizzazione tecnica del consumo non è che al primo posto nell’ambito della dissoluzione generale, che ha portato in questo modo la città a consumare se stessa».

III. Révolte. A partire dall’esecuzione del giovane Nahel a Nanterre, un giovane di 17 anni fermato in macchina ed ucciso da due poliziotti, numerose rivolte hanno attraversato quasi tutte le città di Francia. Molti casi simili a questo negli ultimi anni hanno fatto discutere la cosiddetta “opinione pubblica”. Infatti dal 2017 la legge del codice di sicurezza interna prevede che polizia e gendarmi possano utilizzare le proprie armi in caso di «assoluta necessità e in maniera strettamente proporzionata in caso di rifiuto di ottemperare». Questa volta il problema è stato che se in un primo momento i poliziotti di Nanterre hanno detto che era per «assoluta necessità», subito dopo è circolato un video dove si vedeva chiaramente il poliziotto, posto sul lato del finestrino, quindi non propriamente in pericolo, che apriva deliberatamente il fuoco sul giovane uccidendolo. Subito la madre, tramite i social, indiceva una «manifestazione bianca» e invitava alla rivolta. Tale manifestazione, partecipata da più di 6000 persone, finiva in scontri generalizzandosi poi nelle ore consecutive a tutto l’Esagono. Macron ha convocato da subito varie cellule interministeriali di crisi per ristabilire l’ordine. Si è invocato lo Stato d’emergenza se i fuochi di rivolta non cessavano. Risultato: l’intensificarsi degli scontri per intensità ed estensione dappertutto. Il resto è cronaca della sommossa… Tanti magazzini presi d’assalto e centri commerciali saccheggiati. Commissariati incendiati. A L’Haÿ-les Rose attaccata l’abitazione del sindaco con una macchina infuocata. Bombole del gas usate negli incroci stradali come lanciafiamme, il mobilio urbano completamente devastato e i pali delle telecamere tirati giù con i flex elettrici. Gente armata di Kalachnikov e di fucili a pompa a Marsiglia e a Limas. Qualche sbirro sembrerebbe essere stato preso di mira salvandosi grazie al giubbotto antiproiettile. «C’est une guérilla urbaine»: a Marsiglia il presidente del sindacato degli imprenditori chiede il coprifuoco alle 20,00. Ancora: auto usate come arieti per aprire le saracinesche dei centri commerciali. Parigi, Lione, Marsiglia, e tante altre città…. più volte viene sottolineata dagli specialisti l’insidia di piccoli gruppi di ribelli mobili, veloci e ben organizzati. Analizzando storicamente la figura del «Partigiano», Carl Schmitt sosteneva che «egli [il partigiano] provoca addirittura una frenesia tecnocratica. Il paradosso della sua presenza palesa un contrasto: quello della perfezione tecnico-industriale dell’equipaggiamento di un esercito regolare moderno di fronte alla preindustriale, agraria primitività dei partigiani che pure combattono con efficacia. Un contrasto che aveva già provocato le crisi d’ira di Napoleone contro il guerrillero spagnolo, e che doveva aumentare con il progressivo sviluppo della tecnologia». Sullo stesso tenore sui media ci si interroga sul grado di offensività delle sommosse e si parla di «spirale di violenza inaudita», forse addirittura maggiore rispetto alle rivolte del 2005. Bofonchia al giornalista così un delegato nazionale CRS (Syndicat Alliance): «La strategia è essere presenti con una forza molto consistente, anche se è complicato, perché abbiamo ridotto molto gli effettivi, soprattutto tra i CRS [l’equivalente della Celere]. Ma l’obiettivo è occupare il campo nel modo più ampio possibile».

IV. Ordre. Sul fronte del controllo e della repressione: arresti di massa sono in corso da quattro notti in tutta la Francia per fermare l’ondata di rabbia contro la violenza della polizia. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nella seconda notte, da mercoledì a giovedì: 150 arresti. Nella terza notte, da giovedì a venerdì: 875 arresti. Nella quarta notte, da venerdì a sabato: 1311 arresti. Durante la quinta notte, da sabato a domenica, sono state arrestate 719 persone. In totale, 3055 persone sono state quindi messe in cella, a volte violentemente, spesso in modo casuale, perché si trovavano in un quartiere dove interviene la polizia, o vicino a una finestra rotta. Allo stesso tempo, la polizia sta identificando le persone dai video pubblicati su Snapchat. 45000 i poliziotti e i gendarmi impiegati nelle strade; si segnala l’intervento sul campo della Raid (Ricerca, Assistenza, Intervento, Deterrenza), questa unité d’élite, la più «prestigiosa della Polizia Nazionale», nata nei primi anni ’80, artefice tra l’altro dell’arresto di alcuni militanti di Action Direct. Agenti «antiterrorismo» mascherati e flash ball. Le immagini ridondanti della RAID con i suoi blindati, per le strade di Marsiglia o nella regione parigina, mandate in diretta TV per 48 ore potrebbero sembrare le immagini di una città caduta in mano a una dittatura militare sudamericana. «Macron, parlando di Snapchat e TikTok, ritenuti responsabili di “assembramenti violenti”, ha annunciato: “Adotteremo diverse misure nelle prossime ore […] prima in relazione a queste piattaforme, al fine di organizzare il ritiro dei contenuti più sensibili”. In ogni caso si stanno monitorando tutti i video che riguardano le proteste e si vogliono chiudere gli account interessati. Sembrerebbe infatti che già i capi di Meta, Snapchat, Twitter e TikTok sono stati convocati dal governo francese. Il potere prevede persino di interrompere completamente Internet in determinate aree. Venerdì ha chiesto agli operatori di telecomunicazioni Orange, Bouygues, SFR e Free se fosse “tecnicamente possibile” per loro tagliare i dati mobili, 4G e 5G, in alcuni quartieri della Francia. Queste aziende hanno risposto che era “tecnicamente irrealizzabile venerdì sera”, ma “fattibile dopo”, esprimendo tuttavia alcune riserve, in particolare sull’applicazione della comunicazione delle forze dell’ordine che risentirebbe anche di questi tagli localizzati, e chiedendo un quadro giuridico per tali interruzioni di rete che impedirebbe anche le chiamate di emergenza nei quartieri interessati. Dalla parte del PCF, il segretario nazionale Fabien Roussel ha chiesto questo sabato “lo stato di emergenza sui social piuttosto che sulle popolazioni” e ha proposto di “tagliare” i social “quando fa caldo nel Paese”» («Contre Attaque Nantes»). Anche questa volta, forse più che mai, i dispositivi tecnologici e i social network hanno avuto un ruolo importante nella comunicazione e nel coordinamento delle azioni, ma è evidente che comunque questi dispositivi hanno vari rovesci della medaglia (il controllo su tutti, per esempio). Elisabeth Borne, poi, ha annunciato venerdì 30 giugno il dispiegamento di veicoli corazzati della gendarmeria, tra cui quattordici veicoli corazzati a ruote (VBRG) e i Centaures, il successore ufficiale del blindato gommato della gendarmeria in servizio dal 1974, impegnato per la prima volta nei teatri operativi dell’Île-de-France e delle province. Si tratta di un imponente veicolo blindato 4×4 del peso di 14,5 tonnellate (due in più del VBRG) prodotto dalla società Soframe, specializzata nei settori della difesa e della sicurezza. «È lungo 6,2 metri, largo 2,45 metri e alto 2,5 metri. E, a differenza del suo predecessore, ha capacità di spinta e sgombero uniformi, grazie alle lame montate su cilindri pneumatici, installate nella parte anteriore del veicolo. Infine, questi veicoli dispongono di moderne attrezzature optroniche e capacità telecomandate, in termini di sparo e lancio di granate», si legge sul sito del Ministero dell’Interno.

V. Mémoire. Leggo sulla rivista di controinformazione francese «Clash», dell’estate del 1982: «La borghesia imperialista ha bisogno del consenso delle masse per avere la forza di mantenere il suo dominio sui popoli che saccheggia. Nessuna borghesia imperialista senza consenso nelle metropoli, nessun consenso senza democrazia: la democrazia è il normale modo di funzionare nelle metropoli imperialiste. È la garanzia e la verifica dell’adesione delle “grandi masse” al sistema. Ma questa democrazia è possibile solo se c’è consenso, se tutte le parti sociali rispettano le regole del gioco. La principale di queste regole è l’accordo sull’imperialismo, e tutti i maggiori partiti hanno dato il loro consenso. Non è significativo che il voto che riscosse l’unanimità alla Camera dei deputati dalla fine della guerra fu quello che diede pieni poteri al governo Guy Mollet per riportare l’ordine in Algeria e inviare in massa il contingente nel 1956?». Ora sarebbe urgente aggiornare il ragionamento appena citato rispetto alle nuove missioni militari francesi all’estero e all’apertura del nuovo fronte interno, così come sarebbe interessante collegare le politiche estrattiviste al controllo delle “colonie interne”, anche perché, ci ricorda Jean-Marc Rouillan, «In un sistema condannato agli squilibri, in ogni paese capitalista spinto in sempre più conflitti esterni ed interni, non ci può essere né pacificazione né ritirata della lotta di classe. Sulle rovine del fordismo, messa alle strette dalla caduta dei tassi di profitto, la borghesia non ha avuto altra scelta che realizzare un nuovo modello di accumulazione e abbattere le conquiste delle lotte sociali come le missioni del welfare state. Questi sconvolgimenti non si sono mai svolti pacificamente, dando luogo ad una feroce repressione (militare-poliziesca ed economica), alla quale i proletari hanno storicamente risposto con la resistenza insurrezionale».

VI. Una pillola intellegibile. Una mattina, questo inverno, entriamo nella sala comunale francese per una formazione, e ci sediamo di fronte ad un fermo immagine di una facciata del Comune di Bordeaux messo a fuoco durante le proteste contro la Riforma delle pensioni. Il formatore (che già dalla prima lezione ci aveva avvertito che le cose dette in quell’aula sarebbero dovute rimanere lì), un uomo dal pìglio intelligente, zelante, sostiene che l’Istituzione che rappresenta lo Stato più vicino al cittadino non è il Comune ma la Prefettura (in effetti la figura del prefetto, nata nel 1800 con Napoleone Bonaparte, è il rappresentante dello Stato in un Dipartimento e in una Regione). Continuava poi la sua lezione spiegando che per comprendere la figura del Prefetto in Francia occorre distinguere, preliminarmente, due nozioni tipiche del diritto amministrativo di questo paese: la decentralizzazione e la deconcentrazione: la prima corrisponde all’attribuzione di una certa autonomia ad una collettività che si amministra liberamente attraverso consigli elettivi e sotto il controllo del governo; la seconda si caratterizza per l’intervento di una autorità statale non centrale. Il prefetto, in tale ordinamento, risulta quindi una tipica forma di deconcentrazione dello Stato: assume infatti il ruolo di rappresentante dello Stato nel territorio del Dipartimento, le cui procedure di nomina sono disciplinate dalla Costituzione. Quindi il formatore continuava il suo discorso, da educazione civica, sui diritti e sui doveri del cittadino e delle Istituzioni democratiche. Evidentemente nella sua demagogica idea, comunque condivisa nella mente purtroppo ancora da molti qui in Francia, c’è una parte di “Stato buono”, che poi saremo anche “noi”, che deve rispettare e far rispettare il fondamento della Repubblica: Liberté, Égalité, Fraternité. Princìpi sempre validi ed eterni ma più che altro, concludeva il funzionario, raggiungibili a lungo termine (quanto lungo, boh?). Resta comunque il dubbio se il suo discorso sulla responsabilità delle Prefetture fosse una indicazione intellegibile…

VII. Pour parler. Gli attuali fatti di insubordinazione generalizzata segnalano a mio avviso, ancora una volta, irrequietezza, vivacità (è malato un corpo sociale che di fronte al sopruso non batte ciglio) e solidarietà della popolazione sul territorio francese. Impelagato in un immaginario colonizzato e mercificato (razzia dei prodotti tecnologici e dei capi di abbigliamento firmato), attanagliato dai dispositivi e dalle dinamiche da social (in tantissimi a riprendersi durante gli scontri nelle dirette streaming), affranto dal vuoto interiore (casi di distruzione di asili nido pubblici, biblioteche di quartiere o alloggi popolari con la gente dentro), il proletariato giovanile francese sta lì a dirci a gran voce che comunque non è più disposto a mandar giù la dose di quotidiana violenza fatta di soprusi, sfruttamento e ingiustizie. Ben consapevole che non sarà una “Riforma più giusta” – magari quella della Polizia di Stato sostituita dalla polizia predittiva (P. K. Dick) che grazie ai nuovi software e all’intelligenza artificiale potrà prevedere i crimini – o un cambio di Governo a cambiare la sua condizione umiliata, il nuovo escluso non ha nessuna fiducia in questo Sistema mafioso e politico. D’altronde si vuol semplicemente vivere la propria vita negata e quando la misura è colma si inizia a parlare il linguaggio universale della distruzione. Solo allora ci si vendica di ogni sogno ucciso in strada da un’esecuzione poliziesca. In fondo, per i più, le belle parole della neolingua totalitaria – Resilenza, Sostenibilità, Green, Democrazia Partecipativa – sono solo tante altre arnaques… Chissà invece se il Tecno-Ribelle (E. Jünger) del XXI secolo stia di già rifiutando in nuce il principio dei dominanti per il quale «dato che il mondo è considerato principalmente come materia prima, anche il pezzo di mondo “uomo” deve essere considerato tale» (G. Anders).

Ad ogni modo, in un’epoca come la nostra, dove i benpensanti reclamano più Diritti e Leggi e i bottegai più Autorità e Galere, i tuoni ed i lampi che provengono dal territorio francese echeggiano ora ovunque e fanno da monito sia ai dominanti che ai rassegnati d’Europa. Resta da capire in tutto ciò dov’è l’opzione rivoluzionaria, che fine abbia fatto l’orizzonte utopico, come districarsi concretamente da questo tipo di organizzazione sociale per riconoscersi davvero in una Comunità Umana. Finora la «collettività che si amministra liberamente attraverso consigli elettivi» – o quella dei “Beni Comuni”, se si preferisce – continua a restare un cadavere nella bocca degli amministratori e delle anime belle, nella migliore delle ipotesi; qualcosa di misconosciuto, estraneo ed oppressivo, nella peggiore. Intanto l’insorto francese, con le sue contraddizioni e le sue pulsioni, è lì a ricordarci che la violenza poliziesca di Nanterre è la norma della Giustizia borghese e che, per contro, la Giustizia degli Ultimi continua a chiamarsi violenza.

Simone Le Marteau,

Haute-Savoie, primi di luglio 2023





 Ilaria e Tobias liberi Nessuna estradizione per Gabriele Lunga vita in libertà ai latitanti L’11 febbraio scorso degli esponenti di estrema...