domenica 7 gennaio 2024

 Ilaria e Tobias liberi

Nessuna estradizione per Gabriele

Lunga vita in libertà ai latitanti

L’11 febbraio scorso degli esponenti di estrema destra sono stati attaccati durante il “Giorno dell’onore”, un raduno che in Ungheria vede ogni anno la partecipazione di neofascisti e neonazisti da tutta Europa. Sei compagni sono stati arrestati perché accusati di aver preso parte a queste azioni, di cui due, Ilaria e Tobias, si trovano ancora reclusi in carcere a Budapest, dove sono sottoposti a dure condizioni detentive. Il 29 gennaio prossimo inizierà il processo a loro carico. 

L’impianto accusatorio vuole collegare queste azioni all’inchiesta “AntifaOst”, aperta in Germania dal 2018, e punta a dimostrare l’esistenza di un’ipotetica associazione criminale internazionale, ritenuta responsabile degli attacchi. In seguito alle indagini, l’Ungheria ha emesso un mandato di arresto europeo (MAE) per 14 persone (quasi tutte latitanti) provenienti da Germania, Italia, Siria e Albania. Tra queste c’è Gabriele, un compagno di Milano, che a fine novembre è stato arrestato dalla polizia italiana. Il 5 dicembre si è tenuta l’udienza della Corte d’Appello riguardante la sua estradizione, nella quale gli avvocati difensori hanno portato all’attenzione della corte una lunga e importante testimonianza scritta da Ilaria sulle pessime condizioni della sua detenzione. I giudici hanno rinviato la decisione al 16 gennaio, disponendo una richiesta di approfondimento sulle condizioni detentive nelle carceri ungheresi.

Il mandato di arresto europeo è uno strumento di cooperazione giuridica fra gli Stati membri creato per semplificare lo scambio di prigionieri, e prevede che: il paese in cui la persona viene arrestata adotti la decisione sull’esecuzione dell’arresto entro 60 giorni; le decisioni vengano prese unicamente dalle autorità giudiziarie; gli Stati membri dell’UE non possano rifiutare la consegna dei propri cittadini, a meno che non assumano la competenza per l’azione penale o l’esecuzione della pena privativa della libertà nei confronti del ricercato.

È utile mettere in evidenza che dal 2016 l’esecuzione del MAE è stata ritardata o rigettata in 300 casi per motivi legati alla violazione dei diritti fondamentali, ma bisogna anche sottolineare che per quanto riguarda l’Italia e i casi di repressione politica è stato concesso molte volte:

– una compagna è stata arrestata in Francia per l’operazione Scintilla, successivamente estradata;

– un compagno è stato arrestato in Francia in seguito a tre mandati di cattura emessi dall’Italia, per le lotte contro i CPR e gli sfratti;

– dalla Spagna è stata estradata in Italia una compagna per l’operazione Bialystok;

– un compagno è stato estradato dalla Grecia all’Italia per gli scontri del 15 ottobre 2011;

– un compagno del movimento NO TAV è stato estradato in Francia per il reato di violenza aggravata nei confronti di un gendarme durante una manifestazione in solidarietà con i migranti, il 15 maggio 2021.

In pochi casi l’estradizione è stata rifiutata: ad esempio, lo Stato greco ha negato all’Italia l’estradizione di cinque compagni greci per la manifestazione NO EXPO di Milano del 1ºmaggio 2015 e la Francia ha rifiutato l’estradizione di un compagno italiano per i fatti del G8 di Genova.

La fortezza Europa non è tale solo verso l’esterno, attraverso strumenti comuni per il controllo delle frontiere, ma è una fortezza anche al suo interno, mediante la condivisione e la centralizzazione dei dispositivi di controllo, schedatura e repressione della conflittualità.

Il 13 gennaio si terrà a Milano un corteo antifascista in solidarietà agli incriminati per i fatti di Budapest e riteniamo importante mobilitarci anche a Roma nei giorni precedenti. Se è molto importante far sentire la solidarietà internazionale ai compagni, è altrettanto necessario rispondere a questo grave attacco repressivo che riguarda tutto il movimento antifascista militante e l’antagonismo in generale analizzando con lucidità il problema del rigurgito dell’estrema destra in Europa. È innegabile che elementi e mezzi neofascisti e neonazisti siano sempre più coinvolti nel processo di ristrutturazione capitalistica in corso in tutta Europa. Dal golpe del 2014 la costruzione del regime ucraino si è basata  sull’arruolamento di milizie di stampo neonazista, come il famigerato battaglione Azov, sotto la regia militare e finanziaria della NATO. Questo mentre vari Stati europei spingono sempre più per inserire i gruppi antifascisti nella lista nera delle formazioni terroriste. 

La stessa Unione Europea si configura come uno spazio sempre più militarizzato e autoritario. Per imporre la feroce agenda neoliberista gli Stati europei inaspriscono le pene per i reati di ordine pubblico. Ne sono un esempio i Decreti Sicurezza firmati dai vari governi italiani, o la loi anti-casseurs in Francia. L’aria che tira a livello europeo è esemplificata da questi episodi: in Germania si viene perseguiti per aver intonato una slogan pro-Palestina, in Francia i prefetti vietano le manifestazioni, in Italia la magistratura reprime operai e delegati dei sindacati di base che lottano per migliorare le proprie condizioni, utilizzando con sempre crescente fantasia reati associativi.

Le politiche neoliberiste adottate dalla UE – fondate su privatizzazioni e libero mercato, tagli allo stato sociale, bassi salari – comportano la necessità di aumentare la repressione e il controllo, sia a livello sociale che politico. In questo contesto i fascisti svolgono il loro ruolo storico di servi al soldo dei padroni: fomentatori della guerra fra i poveri, squadristi o stragisti, alla bisogna.

È necessario sviluppare la resistenza contro lo stato di guerra, lo sfruttamento, l’esclusione sociale e le politiche autoritarie e razziste che i governi europei praticano e diffondono nel mondo.

Come avvenuto nel caso di Alfredo Cospito, solo una mobilitazione determinata e internazionale può fare la differenza.

Assemblea organizzativa per il presidio: lunedì 8 gennaio, ore 20:00 presso il Punto Solidale Marranella, via Dulceri 211.

MERCOLEDÌ 10 GENNAIO 2024

PRESIDIO PRESSO L’AMBASCIATA UNGHERESE

VIA DEI VILLINI 11, ROMA ORE 10:00

Assemblea di solidarietà con Alfredo Cospito e i prigionieri rivoluzionari

 

NOTE SU ROJAVA E RIVOLUZIONE INTERNAZIONALE

Il fronte del Rojava si apre durante la tappa siriana delle “primavere arabe”.  Nel sommovimento interno che attraversa la Siria, la popolazione kurda del nord-est e le sue organizzazioni armate iniziano un percorso di autodeterminazione. Entrando in contrasto con lo Stato centrale, ovviamente, che, per quanto tollerante (a fasi alterne) ha comunque sempre perseguito l’arabizzazione, è sempre un regime costruito sull’identità di Stato-nazione. E, per quanto relativamente progressista rispetto ai regimi dell’area, ha anch’esso sistematicamente represso le tendenze comuniste conseguenti .  Più generalmente, il sollevamento del Rojava fa parte del movimento di liberazione del Kurdistan, fatto a pezzi dalla politica colonialista, con il trattato di Losanna esattamente 100 anni fa, smembrandolo fra quattro Stati.

Grande svolta avviene fra il 2013/’14 quando ai regimi reazionari dell’area che già finanziavano e armavano potentemente  varie organizzazioni islamiste jihadiste, si aggiunge il regime fascista turco con un’operazione di copertura e infiltrazione massiccia di queste, investendo quindi direttamente il Rojava.  È la fase più critica, quella del dilagare dell’ISIS-DAESH fra Siria e Iraq. La fase dell’eroismo kurdo che si trova ad affrontare un’armata, informale ma continuamente alimentata con decine di migliaia di intruppati (non tanto e solo “fanatici”, ma assoldati appunto con i grandi finanziamenti di cui sopra, e/o forzati).  E qui si fonda anche l’alleanza tattica con gli Usa. Non trovando altre sponde, si è fatto ricorso a questo appoggio tattico, che in quella fase era vitale per non essere travolti dall’ondata jihadista.  Ma l’anima e il corpo della resistenza restava il movimento kurdo. Con gli obiettivi, di indipendenza e trasformazione socialista,   forgiati in una storia di decenni di durissimo processo rivoluzionario, con enormi sacrifici.  Culmine ne è la battaglia attorno a Kobane, vinta anche grazie alla copertura aerea statunitense, ma innanzitutto grazie alla grande forza e determinazione propria.

A quell’epoca avviene pure il grande movimento di opposizione interna in Turchia detto di “Gezy park”. Movimento che scuote in profondità la società e dà slancio a nuove generazioni militanti. Federatore sul piano elettorale ne diventa l’HDP – Partito Democratico dei Popoli – partito kurdo che riesce a convogliare buona parte di queste energie, di gran parte della sinistra più autentica della Turchia.  Si crea una dialettica fra questo sommovimento e quello che avviene in Kurdistan, inizia l’andata di migliaia di giovani verso il Rojava per sostenerlo nel duro scontro in atto.  Un movimento che si estende presto internazionalmente. Si forma una prima Brigata Internazionale di Liberazione, promossa dal MLKP(di Turchia e Kurdistan del nord). Sempre più si capisce che questo fronte è di interesse internazionalista, perché è una concreta esperienza rivoluzionaria di trasformazione sociale, affrontando nemici strategici come il fascismo turco (che si sta affermando con un espansionismo regionale proprio), la NATO di cui è pilastro, il jihadismo loro ausiliario.

Il regime risponde alla sua maniera: retate di massa contro l’HDP(che aveva ottenuto circa il 13% alle elezioni e quindi rappresentanza parlamentare) e sua messa al bando come “partito terrorista” legato al PKK.  Repressione poliziesca e militare contro le enormi manifestazioni dell’epoca, culminante in un attentato stragista nella città di Suruç, nel 2015, nel mezzo di una di queste manifestazioni, oltre ad altri attentati simili (attribuiti all’ISIS ma pilotati dai servizi segreti, fra i due esistendo un’organica collaborazione che emergerà presto con l’infiltrazione e poi invasione in Rojava).

Proprio in questi anni, fra il 2015/2017, sul filo della guerra contro l’ISIS e della progressiva liberazione sia del Rojava che di territori limitrofi, le forze rivoluzionarie si sviluppano notevolmente. Sia in quantità e capacità, sia in composizione essendo interetniche, dando alla componente femminile un ruolo di primo piano, e ancorando il militare al processo di trasformazione sociale e autogoverno popolare. Questa dialettica molto intensa è il motore del loro sviluppo, delle vittorie militari  come del coinvolgimento popolare attivo. L’altro aspetto fondamentale è la risonanza internazionalista, il suo diventare un riferimento come concreto percorso rivoluzionario di nuovo tipo. La prima conferma viene dalle organizzazioni comuniste di Turchia, che dopo aver già inviato loro forze sui fronti del Rojava, nel 2016 formano il Movimento Rivoluzionario Unito dei Popoli (HBDH). Nove organizzazioni e partiti armati, le più importanti: TKP/ML, MLKP, MKP e altre, salvo il DHKP-C, lo costituiscono insieme al PKK. E diventa operativo su vari fronti, anche all’interno della Turchia, con notevole efficacia. I punti di divergenza persistono, in particolare la questione delle alleanze tattiche (ciò che motiva la non adesione del DHKP-C), ma si considera giustamente che le esigenze della guerra e del processo rivoluzionario in atto primeggiano e fondano quest’inedita unità (quello che oggi avviene in Palestina..). Percorso che si alimenterà di grandi esperienze di sviluppo comune e oltre le frontiere, segnato dalla caduta in combattimento di decine di internazionalisti e ancor più di militanti delle suddette organizzazioni.

All’apice di questa fase sta la liberazione di Raqqa, segnando la sconfitta e il tramonto del potere territoriale dell’ISIS. Il prestigio del Rojava è al massimo, sia per la capacità militare sia per gli evidenti segni di trasformazione sociale che sta concretizzando, fra cui la crescita delle forze armate femminili e interetniche.

Lo Stato Turco, persa questa carta “ausiliaria”, decide allora di intervenire direttamente.  È il piano di invasione, progressiva, del Rojava. Piano che dovrà negoziare, via via,  con Usa e Russia,  sul filo dello scontro più generale in Siria e dintorni.  Gennaio 2018, le due potenze danno il via libera all’invasione sulla città di Afrin. Per la prima volta le forze rivoluzionarie si trovano a fronteggiare l’esercito turco in tutta la sua potenza (il secondo esercito della Nato) e devono ammettere la loro insufficienza.  Organizzano così l’evacuazione della popolazione, salvo un’esigua minoranza che diventerà poi base di guerriglia urbana.  Afrin costituisce comunque una sconfitta bruciante che porrà all’ordine del giorno uno sforzo di costante rielaborazione e adeguamento della strategia politico-militare.  Ciò che avverrà nonostante talvolta la supremazia militare turca obbligherà ad altri ripiegamenti. Dalla città di Serekaniye in particolare.  Nei territori occupati lo Stato turco opera pulizia etnica installando popolazioni sunnite inquadrate dalle milizie jihadiste ma, ciò nonostante, si scontra con una resistenza diffusa, collegata alla strategia militare delle forze YPG-YPJ.  Su un altro lato, quello iracheno, il fascismo turco si avvale della collaborazione, organica e storica, del PDK (feudo del clan Barzani). Collaborazione che ha la sua radice nel suo carattere reazionario e semifeudale, nonché nell’asservimento all’imperialismo.

Tuttavia il fronte kurdo, nel suo insieme, ha una forza di tutto riguardo. PKK in testa, ovviamente, si tratta di circa 100.000 effettivi in armi. Nei fatti la forza armata rivoluzionaria più consistente in tutta la regione (contando anche il PJAK kurdo iraniano) e con una compattezza ideologica e politica.  Lo stesso fascismo turco sa di non poterla distruggere, e così pure gli altri regimi.  Mentre la sua forza dirompente dà, periodicamente, forti impulsi all’opposizione politica interna, come si è visto anche nella ribellione dei mesi scorsi in Iran e allargando pure sul piano internazionale l’obiettivo di sconfiggere, abbattere il fascismo turco in quanto pilastro della reazione e della Nato. Tutto questo ha la sua radice, da lunghi decenni, nel programma, negli obiettivi di liberazione anticoloniale e sociale.  Programma e obiettivi praticati e concretizzati, relativamente alle possibilità di fase, e che fanno vivere un orizzonte socialista.  La radice marxista-leninista, per quanto rivista e innovata, ne è pur sempre il fondamento. La stessa loro efficacia politico-militare lo dimostra.

Nell’innovazione proposta con la teoria del confederalismo democratico, il punto cruciale è il superamento dei limiti e derive dell’esperienza storica socialista del Novecento.  Questione reale, al di là delle loro proposte.  Fra queste merita comunque attenzione la critica allo Stato-nazione.  Soprattutto nelle realtà che si dibattono fra de-colonizzazione e rinnovate forme del dominio imperialista, la forma Stato-nazione rivela ormai tutte le sue insufficienze, richiedendo nuove ipotesi e tentativi di soluzione che riescano sia a fronteggiare l’imperialismo sia a sviluppare un processo sociale rivoluzionario di carattere interetnico e internazionalista (d’altronde il meglio delle lotte di liberazione anticoloniale avevano ipotizzato l’unità araba e quella africana).  Questione enorme e del tutto aperta, e ragion per cui vanno apprezzati i tentativi, i passi concreti fatti in alcune aree del mondo fra cui la stessa Palestina, India, Filippine, America Latina e Africa.  Non si tratta di aderire ad un’ipotesi, ad una strategia specifica, bensì più semplicemente di coglierne la portata di interesse generale nel ricostituirsi di un campo rivoluzionario internazionale.

Come SRI, infatti, così ci siamo mossi in questi anni. Ci schieriamo solidariamente con le forze rivoluzionarie che ci sembrano autentiche, pur non “sposandone” nessuna (noi stessi, in quanto organismo di Fronte, comprendiamo elementi provenienti da percorsi e appartenenze diverse, comuniste, antimperialiste ed ex anarchiche).  Cerchiamo di valorizzare e socializzare gli aspetti utili di portata generale, appunto. Così le campagne a sostegno dei prigionieri politici, contro resa e pacificazione, e così l’aiuto concreto ad alcuni fronti di guerra come la campagna per maschere antigas e bendaggi “salvavita” alle forze kurde.  Si è poi integrata la rete internazionale “Rise Up 4 Rojava” che pratica azioni militanti di vario tipo (occupazioni, blocchi, sabotaggi) per dare carattere generale alla lotta contro il fascismo turco e l’ordine imperialista.

Ci sembra che proprio l’attuale tappa della guerra di liberazione per la Palestina ponga in evidenza questi elementi.  La necessità di far fronte unito e in una dinamica ampia, coinvolgente più popoli attraverso diverse entità statali. Mantenendo salda sia la lotta antimperialista sia la prospettiva rivoluzionaria socialista/comunista.

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