domenica 6 settembre 2020

 

Pubblichiamo qui di seguito un testo prodotto dalla Segreteria del Soccorso Rosso Internazionale.  Una messa a punto sulla situazione generale, sulla fase della guerra in corso, sulle necessità e i compiti per le forze rivoluzionarie e solidali. Agosto 2020

RICONOSCERE UNA GUERRA IN CORSO

 

Sulla guerra di bassa intensità condotta dal fascismo turco contro le regioni liberate del Kurdistan (Rojava, Qandil, Sengal ...)

 

I. Introduzione

Dal cessate il fuoco del 17 ottobre 2019 e dalla fine degli attacchi “in grande stile” lanciati dalle forze armate turche contro il Rojava, la guerra ai curdi in Turchia, Siria e Iraq non è mai cessata.

Essa ha assunto una forma nuova che combina tre forme di guerre teorizzate dagli strateghi: la guerra di bassa intensità (low intensity warfare), la guerra ibrida (hybrid warfare) e la guerra combinata (compound warfare). Alle azioni militari convenzionali, ormai volontariamente limitate, si aggiunge tutto un ventaglio di azioni ostili, come gli omicidi mirati, incendi dei raccolti, bombardamenti specifici con droni, attentati portati dalle milizie ausiliari, provocazione di esodi della popolazione, ecc.

Durante le 6 settimane di “cessate il fuoco” dopo il 17 ottobre 2019, l’esercito turco ha compiuto in Rojava 143 incursioni terrestri, 42 bombardamenti con droni, 147 bombardamenti con carri armati e artiglieria. Ha invaso e occupato 88 località, mietendo centinaia di vittime e sfollando 64.000 persone.

Tuttavia, non solo fra i media ma fin dentro il movimento di solidarietà verso il Rojava domina il sentimento che la guerra è “sospesa”. Il Rojava esce dalla cronaca, al massimo il movimento teme e si prepara alla “grande guerra”, all’offensiva “in grande stile” delle forze armate turche contro il Rojava.

Lo studio che qui presentiamo prende essenzialmente come esempi le azioni ostili attuate alla fine del 2019, durante il “cessate il fuoco”, da Turchia e dai suoi ausiliari contro il Rojava. Perchè questi non sono incidenti isolati, ma elementi costituenti una strategia ponderata e pianificata.

Tale strategia non riguarda solo il Rojava ma la stiamo vedendo in altre regioni liberate del Kurdistan (come i monti di Qandil in Iraq) oppure in spazi dove il movimento di liberazione curda ha permesso l’autorganizzazione popolare (campo profughi di Makhmour o la regione yazida di Shengal in Iraq, ecc.).

Questa forma di guerra può perdurare e costituisce una minaccia mortale per le regioni liberate del Kurdistan.

Il movimento di solidarietà con il Rojava deve capire questa minaccia e imparare a rispondervi.

II. Il cambiamento di strategia    

Non è chiaro il motivo per cui la Turchia nel 2019 è passata da una strategia di guerra totale (con intervento diretto e massiccio di esercito e aviazione militare turchi) a una strategia di guerra di bassa intensità. Potrebbero essere intervenute considerazioni di politica internazionale. Ma anche la resistenza di Serekaniye nell’ottobre 2019, che ha mostrato come le SDF fossero meglio preparate in occasione della battaglia di Afrin (gennaio-marzo 2018), potrebbe aver determinato questo cambiamento di strategia.

La guerra attualmente in corso (2020) da parte della Turchia contro il Rojava combina tre caratteristiche:

-guerra “di bassa intensità”: la Turchia deliberatamente non impiega completamente l’intera sua potenza militare;

-guerra “molteplice”: la Turchia agisce tanto, se non di più, tramite forze ausiliarie che non con proprie forze armate;

-guerra “ibrida”: la Turchia associa mezzi convenzionali e non convenzionali e combina azioni politiche economiche e militari (il finanziamento di una ONG puramente caritatevole può essere un elemento strategico). La guerra ibrida ha la sua posta in gioco sul campo di battaglia convenzionale, ma anche fra le popolazioni abitanti la zona del conflitto e la comunità internazionale. Quasi tutte le guerre contro-insurrezionali sono d’altra parte guerre ibride.     

Prima di precisare i differenti aspetti di questa nuova forma di guerra condotta contro le regioni liberate del Kurdistan (principalmente il Rojava e i monti di Qandil) occorre sottolineare che parecchie sue caratteristiche esistevano già prima del “cessate il fuoco” nell’ottobre 2019. La Turchia ha sempre fatto ricorso a milizie paramilitari e mezzi non convenzionali. Ciò che caratterizza la nuova fase è che i metodi che prima erano ausiliari, complementari, diventano strategici, principali.

III. I metodi della guerra

1. L’uso di paramilitari

I paramilitari implicano una prassi più economica e meno pericolosa politicamente. Non sono sempre controllabili al 100% (certi crimini di guerra commessi da paramilitari possono essere parzialmente previsti e calcolati dalla politica turca, altri possono essere semplici iniziative dei paramilitari stessi). Sono tre le categorie di milizie: gli ausiliari [gruppi dipendenti direttamente dalla Turchia come la milizia Jaysh al-Sharqiya di ASL (Esercito libero siriano, n.d.t.)], i mercenari (come la Divisione Sultan Murad, tanto dipendente dallo Stato turco che l’ha mandata a difendere i suoi interessi in Libia nel gennaio 2020) e altri belligeranti con la propria autonomia politica, ma i cui interessi coincidono con quelli della Turchia (e che dalla Turchia ricevono aiuti), come ad esempio Daesh.

2. Gli attacchi militari classici

Questi continuano. Sono abbastanza rari da dare l’impressione d’essere eccezioni, o addirittura incidenti, ma sufficientemente numerosi ed efficaci da adempiere ad una funzione strategica d’indebolimento graduale della resistenza. Le maggiori di queste operazioni combinano bombardamenti aerei, incursioni terrestri e assalti con elicotteri.

Nel Kurdistan iracheno l’esercito turco ha compiuto parecchie grandi operazioni a fine anni ’90 (l’operazione “Acciaio” nel marzo-maggio 1995, l’operazione “Martello” nel  maggio-luglio 1997, l’operazione “Alba” in settembre-ottobre 1997); un’altra operazione è stata condotta nel febbraio 2008 (operazione “Sole”). Ma dal 28 maggio 2019 viene condotta  un’operazione per parecchi mesi, con picchi e cali di intensità,  denominata genericamente “Artiglio”. Queste operazioni combinate (bombardamenti/incursioni terrestri) sono riprese quest’anno (2020) nella regione.

3. Movimenti demografici

Si tratta di causare spostamenti di popolazioni conformi agli interessi strategici turchi. Tali spostamenti avvengono in due tempi:

-Anzitutto provocare esodi. L’esodo dei cristiani assiri in Siria è stato provocato da una combinazione di bombardamenti, minacce, terrore (immagini di prigionieri crocifissi dai miliziani di ASL).

-Quindi, nelle regioni occupate dalle forze turche, ripopolare. I profughi arabi sunniti siriani sono ricollocati nelle zone strategiche. Dopo l’offensiva turca nel gennaio 2018, 140.000 persone sono fuggite da Afrin cercando  rifugio in Rojava. La Turchia vi ha insediato oltre 160.000 arabi sunniti (originari di Goutha, Iblid e altre regioni che il regime ha sottratto agli islamisti), modificando metodicamente e sistematicamente la struttura demografica della regione, per cancellarvi la presenza curda. La maggioranza di questi coloni sono volontari, ovvero famiglie degli ausiliari o dei profughi che hanno perso tutto, ai quali una politica d’investimenti (finanziati dalla Turchia, ma anche da banche tedesche e ONG) offre nuove piccole case e prospettive per il futuro. Altri profughi siriani, però, sono stati costretti a svolgere il ruolo di colono (si fa loro firmare documenti in turco, che loro non comprendono).

4. Gli attacchi all’economia delle regioni non occupate

L’obiettivo è quello d’indebolire il potenziale di resistenza materiale e morale, di provocare contraddizioni nell’avversario rendendo difficile la vita alle popolazioni. Si possono distinguere:         

-attacchi diretti come l’incendio di raccolti cerealicoli in Rojava nel maggio 2019 (incendi talvolta provocati da Daesh che peraltro li ha rivendicati, a volte causati da colpi d’artiglieria turchi);

-il blocco, quale quello che ha isolato il Rojava dal Kurdistan iracheno, praticato dalle forze del governo regionale curdo del clan Barzani strettamente legato agli interessi turchi. Dall’estate 2020, gli effetti di questo blocco si sono fatti ulteriormente sentire a seguito delle sanzioni imposte dagli USA ad Assad e dal veto della Russia all’ONU sui valichi di frontiera.

5. Gli attacchi all’economia delle regioni occupate

Vengono pure compiute distruzioni nelle regioni occupate, con due obiettivi a seconda delle zone in cui si attuano:

-talvolta mirano a rendere impossibile vivere nelle zone che le autorità turche vogliono spopolare. Perciò, il 5 dicembre 2019 un convoglio di militari turchi è giunto a smontare le installazioni delle sotto-stazioni elettriche di Mabruka e al-Bawab, causando il collasso dell’erogazione elettrica nella regione;

-a volte puntano a impedire ogni autonomia economica nelle zone occupate, a far dipendere le popolazioni dagli scambi economici con l’occupante. Ad Afrin, i paramilitari sradicano gli ulivi, principale fonte di reddito per la popolazione. Profittandone immediatamente poichè gli ulivi sono rivenduti in Turchia, realizzando un obiettivo strategico turco che è quello di rendere la regione economicamente dipendente.

Questa è una procedura che i paramilitari turchi avevano già utilizzato ad Aleppo, fino alla riconquista della città da parte delle forze governative nel 2016. Prima della guerra, uno degli assi della  politica del regime è stato lo sviluppo di un’economia autosufficiente, basata su investimenti pubblici e un controllo rigido delle importazioni. Aleppo era un centro dell’industria tessile nazionale. Gli islamisti l’hanno smantellata per realizzare un’apertura forzata del mercato siriano ai prodotti turchi.

6. L’assunzione del controllo di punti strategici

La guerra di bassa intensità attuata dall’esercito turco contro le regioni liberate del Kurdistan iracheno avviene non solo con bombardamenti (comprese le armi chimiche) e irruzioni di commando sui monti di Qandil, ma anche attraverso la creazione di numerose basi, atte a circondare e strangolare le regioni liberate. Le prime di queste basi sono state installate sin dal 1997.

Ci tornano alla mente immagini di centinaia di manifestanti curdi, senz’armi, protestare contro i bombardamenti mortali effettuati dall’aviazione turca, invadere la base di Shiladze (provincia di Duhok) e incendiare veicoli militari. Nel giugno 2018 esistevano già 13 grandi basi turche (e un numero di piccole stazioni periferiche).

7. Gli attacchi sul fronte IT (settore informatico)

Questi attacchi alle comunicazioni possono distinguersi per la loro natura (attacchi materiali o attacchi informatici IT) o per il loro scopo (comunicazioni sul posto o media d’informazione rivolti all’esterno). Così, prima dell’offensiva turca il 9 ottobre 2019, una moltitudine di account Twitter è stata creata, inondando la sfera Twitter della propaganda filo-turca.

8. Il terrore e gli assassinii mirati

Queste forme di azioni sono incessanti, la prima è generalmente adottata da paramilitari (ad esempio: le 3 esplosioni simultanee che hanno provocato 6 morti e 42 feriti nella città a maggioranza curda di Qamishlo lunedì 11 novembre 2019), la seconda è opera di servizi segreti turchi, il MIT (ad esempio: l’assassinio di Bayram Namaz (Baran Serhat), membro del Comitato centrale di MLKP (Partito comunista marxista-leninista, n.d.t.) e dirigente di MLKP-Rojava, piazzando una bomba nella sua vettura il 23 marzo 2019).

A ciò si aggiungono i bombardamenti militari, la cui finalità è, però, terrorizzare (e provocare trasferimenti) delle popolazioni. Si può collocare in questa categoria il bombardamento del mercato di Tel Rifat il 2 dicembre 2019. Le popolazioni colpite sono state quelle che hanno abbandonato Afrin per cercare rifugio in Rojava. Ricordiamo che questo bombardamento ha prodotto l’uccisione di 10 civili, fra cui 8 bambini.

Il terrore è pure una regola nei territori occupati: rapimenti, assassinii, stupri e saccheggi sono la quotidianità delle popolazioni di Afrin e Serekaniye.

9. Gli investimenti economici e infrastrutturali

Come ogni guerra, la compound warfare (guerra combinata) ha come obiettivo la pace, ma una pace in una situazione politica trasformata. Investimenti economici e infrastrutturali, “programma di sviluppo” rientrano in questo ambito: costruzione di “nuove città”, scuole, strade, sussidi versati a ONG e loro associazioni locali accomodanti, ecc.

La Turchia ha già praticato questa politica nel Kurdistan settentrionale (il sud-ovest della Turchia). Parti intere del distretto di Sur, il centro storico di Diyarbakir sono stati rasi al suolo dai bulldozer dopo l’insurrezione dell’autunno 2015. 6.000 famiglie curde sono state scacciate ed è proibito loro di tornarvi. Nel marzo 2016 il Consiglio dei ministri ha decretato l’espropriazione, a profitto dello Stato, di tutte le pèarcelle private del quartiere Sur  (6.292 alloggi, gli edifici pubblici comunali e il patrimonio cristiano sono stati sottratti alla popolazione locale).

10. Le alleanze politiche e ideologiche

Le forze d’aggressione devono “costruire la loro pace” e perciò appoggiarsi su una rete di collaboratori, acquisiti in base a collusione d’interessi, corruzione diretta, affinità ideologica (reazionaria/patriarcale). Nel caso della Turchia, in Siria sono le forze islamiste, ma anche tribali/feudali e, in Iraq, il PDK (Partito democratico del Kurdistan, n.d.t.) del clan Barzani.

11. La propaganda

Si tratta di un elemento essenziale di questa guerra che non vuole sembrare tale.

L’azione della propaganda è diretta (da canali direttamente identificati in Turchia e presso i suoi alleati) o indiretta (attraverso media apparentemente neutri).

Attua operazioni d’informazione (scelta) e di disinformazione (false accuse dirette e circolazione di voci ben studiate e calibrate), riguardanti i media, le forze politiche e le ONG europee.

In questo contesto accadono:

-provocazioni e operazioni “sotto falsa bandiera”: crimini commessi da forze turche o loro ausiliari sono attribuiti a forze curde

-messinscena di operazioni umanitarie che presentano l’occupazione turca come azione benefica per le popolazioni.

12. I dispositivi legali “antiterrorismo”

Uno dei grandi vantaggi di questa guerra di bassa intensità, per l’occupante, è precisamente il fatto che questo può presentarla non come rientrante nell’ambito della guerra, ma delle competenze di polizia. Sul piano giuridico, ciò toglie alla Resistenza tutte le protezioni della legge di guerra.

Anzi, la potenza occupante può avvalersi dei dispositivi legali “antiterrorismo” a livello nazionale e internazionale, richiamandosi in particolare agli accordi internazionali sul “cessate il fuoco” per stigmatizzare le azioni della Resistenza come azioni illegali.       

Quindi la Turchia ottiene da USA e potenze europee la condanna contro le forze della Resistenza e, rispetto ai loro  membri, la negazione o il ritiro dello statuto di rifugiato politico, l’arresto, l’estradizione in Turchia o la detenzione in Europa.

13. L’azione in materia di strategia generale

La guerra della Turchia non si limita al Kurdistan. Si estende ovunque il movimento di liberazione nazionale curdo abbia forze e alleati, come pure in regioni limitrofe al Kurdistan.

È anche in questo spirito che agenti della Turchia tentano d’isolare il movimento di solidarietà in Europa e altrove: comunicati stampa, lobbying (gruppi di pressione, n.d.t.) per legislazioni che criminalizzino le organizzazioni curde o quelle della sinistra rivoluzionaria turca, ecc.

IV. Precedenti storici

Certamente, la Turchia non ha inventato la strategia della guerra di bassa intensità contro popoli liberati. Questa strategia è stata applicata da parecchie potenze dominanti sia per indebolire un Paese liberato in preparazione di una classica invasione, sia come strategia di “seconda mano” dopo il fallimento di un’invasione o in seguito all’obbligo di rinunciare a un’invasione.

Citeremo solo due esempi:

-Cuba: gli USA hanno praticato la stessa miscela di sabotaggi economici (nel gennaio-febbraio 1960, 300.000 tonnellate di canna da zucchero incendiate in diversi punti del Paese), di assassinii (soprattutto di insegnanti nelle campagne), di voci (metodicamente orchestrate da CIA e chiesa nel dicembre 1960, secondo cui Fidel Castro voleva mandare giovani in campi d’indrottinamento in URSS,  suscitando il panico nelle famiglie, e intendeva inviare oltre 14.000 bambini dai loro genitori esiliati negli USA), ecc. Il bilancio fatto dai cubani dovuto a questa guerra di bassa intensità è di 3.478 morti, 2.099 disabili per sempre e un totale di danni materiali ammontante a 181,1 miliardi di dollari.

-Mozambico: Dopo la liberazione del Paese dai colonialisti portoghesi avvenuta nel 1975, il Mozambico ha dovuto subire una guerra di bassa intensità scatenata dal Sudafrica che non accettava che il Paese servisse da base per i movimenti di lotta contro l’apartheid. Sudafrica e Rhodesia alimentano una guerriglia, la ReNaMo, responsabile della morte di quasi un milione di persone in 15 anni e devasta il Mozambico che nel 1986 diviene il Paese più povero del mondo.

Si possono menzionare altri esempi (Nicaragua…), ma occorre precisare che allora, a causa della “Guerra Fredda”, gli effetti di queste guerre di bassa intensità sono stati in una certa misura compensati dall’aiuto prestato da URSS o Cina.

Ciò nonostante, queste guerre hanno avuto un forte impatto sulle società da loro colpite, direttamente con morti e distruzioni, ma anche indirettamente, obbligando le nuove società a consentire uno spazio enorme alle questioni della sicurezza.

V. Il modello israeliano

Per le potenze in conflitto con un popolo o popoli irriducibilmente ostili al loro dominio, tale strategia si è sostituita alla pratica del genocidio puro e semplice. Si sono visti i principi di questa guerra che non si presenta in modo simile a quella nei quartieri repubblicani di Belfast o nei bantustan sudafricani.

Anche questa strategia è stata adottata da Israele contro i palestinesi. Questi sono divisi in spazi non vitali economicamente, accerchiati da colonie d’insediamento, mura, basi militari, dipendono dagli israeliani in tema d’acqua ed elettricità. Ogni tentativo di resistere viene schiacciato brutalmente ed efficacemente, ma con sufficiente precisione e discrezione, affinché questa guerra quotidiana contro un intero popolo appaia come semplice operazione di sicurezza.

Peraltro, fino al minimo dettaglio le tecniche israeliane sono imitate dai turchi.

Citiamo ad esempio:

-la distruzione della casa di famiglia di una persona accusata d’essere membro della Resistenza. Pertanto, la prima settimana di dicembre 2019 i soldati turchi e gli islamisti di ANS (Esercito nazionale siriano), come misura punitiva contro presunti sostenitori di FDS (Forze democratiche siriane, n.d.t.), hanno piazzato la dinamite e poi raso al suolo con macchinario edile parecchie case del villaggio curdo di Gora  Maza, posto a una trentina di chilometri da Gire Spi;

-la costruzione di un “muro di sicurezza”. Dal 2005 gli israeliani hanno costruito una “barriera di sicurezza”, in parte un muro in cemento. Lunga 700 km., questa barriera non corre esattamente lungo la frontiera del 1967, ma penetra in profondità dentro la Cisgiordania per integrare colonie ebraiche e pozzi. È basandosi su questo modello che i turchi hanno costruito nel 2017-2018 un muro lungo 564 km., formato da blocchi di cemento mobili, larghi 2 m. e alti 3 m., ciascuno del peso di 7 tonnellate;

-il progetto di creazione di una zona di sicurezza estesa 30 km., lungo la frontiera turco-siriana occupata dalle popolazioni cacciate e gestita dalle forze ausiliarie della Turchia è una copia del modello adottato nella zona controllata dall’Esercito del Libano meridionale, dal 1978 al maggio 2000, che si stendeva per 20 km. lungo la frontiera israelo-libanese. Finanziato e armato da Israele, l’Esercito del Libano ha condotto una guerra “sporca” (realizzando centri di tortura ed esecuzioni extra-giudiziali) contro la Resistenza libanese e palestinese;

-il monitoraggio delle popolazioni, controllando l’acqua. Con gli accordi di Oslo, Israele ha ottenuto di poter sfruttare  l’80% dell’acqua, e che ai palestinesi fosse lasciato il 20% Nella zona A (sotto il controllo palestinese) e nella zona B  (soggetta a regime congiunto) le città palestinesi sono in linea di principio alimentate dalla società israeliana per l’erogazione dell’acqua. Ma ogni estate la portata è insufficiente e le autorità palestinesi devono razionare l’acqua affinché ogni famiglia possa riceverne una volta alla settimana o ogni 2 settimane. I palestinesi abitanti la zona C (67% della Cisgiordania), dove Israele esercita un controllo militare e civile assoluto, devono vivere con 20 litri d’acqua giornalmente, per persona, per soddisfare ogni esigenza (agricola, ecc.), acqua che pagano alla società israeliana cinque volte di più di quanto paga un abitante di Tel Aviv.

Dall’inizio dell’offensiva turca, la capacità del Rojava di fornire acqua alle popolazioni è stato un obiettivo strategico. Il 10 ottobre 2019, la diga di Bouzra che garantisce l’acqua alla città di Derik è stata bersagliata dall’aviazione turca, mentre il rifornimento di acqua alla città di Hassaké è stato interrotto per i danni causati all’impianto di trattamento acqua di Alok che approvvigiona 400.000 persone nella regione.

VI. Conclusione

Il movimento di solidarietà con il Rojava non deve ignorare la prospettiva di una nuova offensiva “in grande stile” contro il Rojava, in analogia all’aggressione contro Afrin.

Non sappiamo quanto tempo possa durare la fase attuale iniziata a fine 2019.

Ciò che sappiamo è che la guerra di bassa intensità condotta ora dalla Turchia contro tutti i territori liberati del Kurdistan (Rojava, Qandil, ecc.) costituisce una forte aggressione, continua e multiforme.                 

Resistervi richiede grande sforzo, mezzi, intelligenza e determinazione.

La solidarietà internazionale può e deve essere un sostegno determinante a questa Resistenza, a condizione che essa pure sia forte, continua e multiforme.     

 

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