domenica 22 marzo 2020

IL VIRUS DELLO STATO DI EMERGENZA



L'emergenza sanitaria in Italia si è gradualmente trasformata in una escalation securitaria fino ad  assumere l'attuale dimensione di stato di emergenza - "zona rossa" – decretato su tutto il paese. 
Il profilo rassicurante assunto dal governo di fronte ai primi contagi è stato travolto dalla rapida e massiccia diffusione del Corona virus. All'improvviso ci si è resi conto di non essere all'altezza della situazione e che si doveva passare a misure eccezionali. Alla fine siamo arrivati ​​alla direttiva principale: "Tutti a casa!" Oggettivamente, è vero che questo virus passa molto facilmente da individuo a individuo attraverso le goccioline della respirazione, quindi una delle misure di base è quella di rimanere a una distanza di almeno 1 metro, in ogni circostanza.  E che, di conseguenza, qualsiasi raduno, anche minimale, come ritrovarsi in un locale o in strada, espone al rischio di circolazione incontrollata del virus.
Ma, ovviamente, lo sviluppo in senso securitario e isolazionista sta nella logica propria del sistema e delle sue tendenze strategiche. Siamo attualmente in uno stato di confinamento di massa, di divieto di mobilità anche all'interno di una città. È necessario dotarsi di un'autocertificazione che giustifichi il proprio spostamento,  e questo per le uniche ragioni di: andata-ritorno al lavoro, necessità sanitarie, acquisti di generi alimentari. Qualsiasi spostamento ingiustificato sarà punito con un'ammenda e, eventualmente, una condanna penale fino a tre mesi di detenzione. In strade semideserte si vedono sopratutto le pattuglie che presidiano e centinaia di denunce e multe stanno già piovendo. È chiaro che tutto ciò prelude a prove generali di stato d’assedio, militarizzazione sociale, ecc.
Poiché, d'altra parte, questa storia fa emergere tutta la fragilità e le contraddizioni di un ordine sociale afflitto da un decennio di regressione virulenta, di devastazioni neoliberiste.
Il degrado del sistema sanitario pubblico, la sua mancanza di mezzi, la sua immediata inadeguatezza di fronte a una situazione di emergenza, tutto ciò si è rivelato drammaticamente. E non solo questo.
La direttiva di chiusura per tutte le attività - tranne i servizi essenziali e la sacra produzione industriale (improvvisamente riscoprono che la classe operaia è il pilastro fondamentale dell'economia) - ha condannato la maggior parte della popolazione attiva alla mancanza di reddito.
In effetti, la maggior parte dei salariati dipende dalle piccole aziende e/o dal precariato, dal lavoro illegale (nero), dai falsi statuti di lavoro autonomo, trovandosi immediatamente privi di qualsiasi forma di integrazione salariale, così come i veri artigiani e i piccoli commercianti hanno dovuto chiudere il negozio e trovarsi soli di fronte a scadenze di pagamento e tasse. Per non parlare dell'impatto su immigrati e rifugiati, ai margini di ogni legalità, che non possono nemmeno chiedere alcuna forma di sostegno. Un vento di ansia sociale si sta diffondendo ovunque.
Una situazione esplosiva che ha, già, costretto il governo ad allentare i cordoni della borsa, ad avanzare miliardi di euro per fornire una parziale integrazione del reddito per tutte queste persone. Addirittura l'UE propone di sospendere il "Patto di stabilità" e i suoi pesanti vincoli, sopratutto ai deficit di bilancio.
Il governo cerca di cavalcare lo slancio della solidarietà spontanea e diffusa, deviandolo sui binari dell'"Unione sacrée", di una ritrovata "comunità nazionale". Ovviamente cerca di giocare le sue carte per trasformare tutto ciò in consenso, mobilitazione istituzionale e supporto di massa nella competizione globale, a sostegno del proprio imperialismo. E qui esiste una convergenza obiettiva con la destra e l'estrema destra sovraniste. In particolare assumendo un atteggiamento rivendicativo nei confronti dell'UE, della Commissione e della BCE.
Il malcontento monta. E anche fenomeni inaspettati di solidarietà, di mutuo soccorso, che si diffondono e danno un nuovo respiro.
Innanzitutto,  l'enorme sforzo compiuto dal personale medico, infermieri e medici. Praticamente sequestrati al lavoro, per superare le varie carenze di strutture laminate da privatizzazioni e politiche neoliberiste. Inoltre esposti in prima linea - avendo già pagato un prezzo elevato - sono diventati simbolo di uno spirito di impegno sociale, solidale. E, a loro sostegno, quantità di volontari e ausiliari di altre professioni (autisti, paramedici, vigili del fuoco e persino impiegati del commercio alimentare e della grande distribuzione).
C'è come una rimessa in discussione sugli atteggiamenti sociali, una ricerca di soluzioni collettive per una situazione così straordinaria e sconvolgente. Queste sono premesse e, naturalmente, mescolate con altri impulsi tradizionali, pure reazionari; quale direzione seguiranno dopo questa fase di confinamento è tutto da vedere. Ma si muoverà, l'intera società è in gioco, in movimento.

 
Un altro nodo che emerge in questi giorni è, come abbiamo detto, il riconoscimento del carattere essenziale della produzione industriale. E se è stato sostenuto a gran voce dai padroni e dal governo,

 
d'altra parte ha permesso alla classe operaia di trovare un punto di forza per se stessa: hanno proclamato la nostra scomparsa, la nostra inesistenza, da quanto tempo, e ora siamo essenziali!  Gli scioperi sono iniziati per chiedere misure di sicurezza potenziate o fermare la produzione con l'integrazione dei salari a casa. "Non siamo carne da macello!"  la parola d’ordine che attraversa questi scioperi.
Gli operai vedono l'evidente discriminazione tra le misure molto rigide imposte alla mobilità e di chiusura in casa, da un lato, e la continuità della produzione industriale, in condizioni inevitabilmente molto pericolose.  Alcuni degli scioperi sono partiti anche contro il blackout su contagi e alcune morti in fabbrica. E, nonostante il solito lavoro di boicottaggio da parte delle centrali sindacali, gli scioperi si sono estesi giovedì 12 marzo. Da nord a sud del paese, e specialmente nei poli di Torino, Bergamo e Brescia (questi ultimi due epicentri anche dell'epidemia). E l'assenteismo quotidiano raggiunge il 40%.
Due giorni dopo, il 14 marzo, governo, padronato e centrali sindacali hanno raggiunto un accordo vincolante: in cambio di concessioni formali, di facciata, di sicurezza sul lavoro, la produzione deve continuare! E arrivano ad estendere misure repressive contro le proteste.  L'esempio più scioccante è quello del fermo di polizia, in commissariato, per otto lavoratori che picchettavano in segno di protesta per la morte di uno dei loro in un orribile incidente di produzione (in una fabbrica di macelleria a Modena): tutti denunciati per trasgressione della legge attuale, violenza privata (sic, il padrone uccide ma sono i lavoratori dei violenti), ostruzione al lavoro. Anche il loro raduno in lutto attorno al compagno morto è stato messo sotto accusa!
Tutti vedono l'importanza della risposta operaia, e anche della posta in gioco, che probabilmente andranno oltre l'attuale stato di emergenza. Già per il fatto che le fabbriche rimangono luoghi di aggregazione, involontaria ma concreta. Ciò che può trasformarsi, come vediamo, in movimento di lotta e organizzazione. Lo vedremo presto nei prossimi giorni.
L'episodio di Modena è significativo anche per un'altra ragione: in questa città abbiamo avuto una delle rivolte carcerarie più violente. 7 detenuti vi hanno perso la vita, alcuni a causa di overdose di farmaci, saccheggiati dall’infermeria interna, altri a causa del denso fumo nero causato dalla combustione dei materassi in gomma. Ma, naturalmente, gli sbirri possono far passare così qualche morto causato dalla loro violenta repressione.
E c'è una qualche risonanza tra lo scopo principale delle rivolte carcerarie - l'amnistia, liberazioni anticipate - e quello dei lavoratori - la chiusura delle fabbriche. In entrambi i casi le contraddizioni del sistema di oppressione e sfruttamento esplodono: nessuna deroga al sovraffollamento, alla concentrazione di "carne da macello". Le rivolte sono scoppiate domenica, dalla prigione di Salerno, vicino a Napoli, divampando subito da nord a sud: coinvolte 27 prigioni (su quasi 200 nel paese) . E fino a mercoledì 11 quando ci sono stati gli ultimi momenti in cui una mobilitazione di solidarietà è ancora riuscita a manifestarsi, accanto ai familiari dei detenuti, di fronte alle mura delle prigioni. Un movimento che, per dimensioni e radicalità, ha scosso gli equilibri di classe e che, al di là delle contraddizioni interne, sicuramente contribuisce a questo potenziale conflittuale che si sta accumulando.
Per il momento, comunque, il grande limite è il rigoroso divieto di qualsiasi assembramento - anche in strada ci viene imposto di spostarsi da soli - e quindi di qualsiasi iniziativa sociale e politica. Una buona idea, Radio Onda Rossa (a Roma) ha convocato un'assemblea radiofonica, articolata nei giorni. Un buon modo per riconnettersi e discutere, informare.
Ma siamo in una fase di sospensione della vita sociale. Dobbiamo aspettare che passi il picco dell'epidemia e che si allenti la morsa securitaria. Il contraccolpo, che verrà, potrà essere molto forte.
Un compagno di PT-SRI

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