domenica 20 gennaio 2019

OLTRE LO STATO ISLAMICO, L'INDICIBILE PERICOLOSITA' DEL ROJAVA

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Alcun* imputat* per l’irruzione alla Turkish airlines del 2015

Oltre lo Stato Islamico, l’indicibile pericolosità del Rojava
Il prossimo 23 gennaio si terrà un’udienza nel tribunale di Torino in cui verrà
valutata l’applicazione o meno di 5 provvedimenti di sorveglianza speciale.
Giusto per tener fresca la memoria, limitandoci alla procura di Torino, già ad
altri cinque compagni è stata consegnata questa misura negli ultimi anni:
l’ultimo caso in ordine di tempo è quello di Antonio e risale appena all’agosto
scorso.
È importante osservare che le richieste di sorveglianza speciale, tutte, si basano
sulla presunta pericolosità sociale dei soggetti per cui se ne fa richiesta: è
evidente che, ancora una volta, l’obiettivo principale delle procure è sì colpire il
singolo individuo minandone pesantemente la libertà, ma soprattutto reprimere
le lotte, fornendo un monito a tutti coloro che continuassero a prendervi parte.
Dunque non ci stupisce affatto, e meno che mai in questo osceno momento
storico, che la procura torinese e la solita pm Manuela Pedrotta reiterino il loro
accanimento nei confronti di ogni dissenso e facciano bella mostra della loro
servile abnegazione per l’ordine costituito. Non ci sorprende nemmeno che di
questi tempi torni di moda la carta della sorveglianza speciale, uno strumento
repressivo risalente al periodo fascista, epoca in cui lo Stato non si faceva
scrupolo di mostrare il proprio vero volto autoritario (proprio come oggi).
Ora, secondo quanto affermano le carte firmate dalla pm Pedrotta, alcune tra le
persone che da Torino hanno viaggiato verso la Siria del nord per partecipare
alle operazioni delle unità popolari di difesa (YPG e YPJ), sarebbero divenute
socialmente pericolose perché in quel contesto avrebbero appreso l’uso delle
armi… Ma, forse, sarebbe il caso di dirla tutta e fare un ragionamento che non si
fermi al mero dettaglio, pretestuoso, della procura.
Pensiamo che la questione vada ben oltre: la minaccia all’ordine costituito che la
Pedrotta vuole arginare è il fatto che attivisti/e internazionalisti possano essere
partiti per la Siria non solo per combattere l’Isis, come avrebbe potuto fare un
mercenario qualsiasi o quella gran dama di carità di Salvini (a chiacchiere,
ovviamente), bensì per sostenere e prendere parte a una rivoluzione.
Non è la capacità di usare strumentazioni militari a preoccupare la procura,
piuttosto ciò che un uomo o una donna attivo/a nelle lotte qui, potrebbe fare,
qui, del bagaglio di un’esperienza vissuta in un territorio dove è in corso una
rivoluzione.
Nella Siria del nord o, meglio, nel Kurdistan occidentale, in un’area ricchissima di
risorse, ricordiamo che esiste il Rojava, un’area liberata da oltre 6 anni
costantemente osteggiata a colpi di guerra. Ciò che più preoccupa le potenze che
vorrebbero controllare e saccheggiare questo territorio è il fatto che le genti che
lo popolano, tutti insieme, stiano costruendo un modello di comunità basato
sull’orizzontalità e il rispetto delle differenze. Curdi, arabi, assiri, musulmani,
cristiani, sciiti, sunniti, yazidi, partecipano in egual misura alla costruzione di
questa nuova vita, e la difendono.
L’indicibile pericolosità del Rojava sta proprio nell’aver innescato un processo
rivoluzionario che realizza davvero i concetti di democrazia, pace, convivenza,
ribaltandone l’uso ipocrita fattone dagli Stati occidentali per i quali non sono che
vuoti slogan dietro cui nascondere le loro reali responsabilità: l’aver trasformato
il Medio Oriente nel campo di battaglia di una guerra fratricida per poterlo
impunemente saccheggiare. Il Rojava da un lato smaschera l’ipocrisia
dell’Occidente, dall’altro rappresenta la dimostrazione vivente della possibilità
di liberarsi dai suoi tentacoli. Per questo è così pericoloso.
Uno dei più acerrimi e sanguinari oppositori di questo esperimento
rivoluzionario è il governo turco, sostenitore dell’Isis e al tempo stesso storico
alleato su più fronti sia del governo italiano, che dell’Europa e della Nato. Poco
importa all’“Europa democratica” che la Turchia sia ormai una immensa galera,
con centinaia di migliaia di prigionieri politici, poco importa l’aggressione
militare contro il cantone di Afrin, il supporto alle bande di tagliagole islamiste,
la pulizia etnica e il tentato genocidio del popolo curdo. Quisquiglie a fronte degli
interessi economici, politici, militari che ci legano al suo ruolo di gendarme
regionale e guardiano delle frontiere.
L’appoggio incondizionato dello Stato italiano alle politiche dittatoriali dello
Stato turco si è già svelato con altre operazioni di criminalizzazione della
solidarietà e di interventi di protesta contro queste politiche, come è accaduto
nei confronti degli attivisti internazionalisti sardi di ritorno dalla Siria, messi
sotto inchiesta per associazione sovversiva qualche mese fa, o nei confronti di
chi scrive questo testo, sottoposti a suo tempo a misure cautelari e che andranno
a processo a febbraio presso il Tribunale di Torino per l’irruzione del 2015 negli
uffici della Turkish Airlines a Caselle.
L’obiettivo è chiaro: oscurare, rimuovere la memoria e la narrazione di questa
esperienza, reprimere il diffondersi di ogni forma di solidarietà. Che cada e
scompaia per sempre ogni esempio di autodeterminazione, sotto ai
bombardamenti di Erdogan, dell’indifferenza, della solerzia di qualche pm in
Europa, poco importa… Gli unici valori ammissibili in questa orribile società
sono quelli dello sfruttamento e del capitalismo.
Il nemico, quello vero, non è l’Isis. Il pericolo, indicibile, è la rivoluzione, che dal
Rojava, contro venti e maree, lancia un allarme al mondo intero chiamando a
raccolta i suoi nuovi partigiani.
Un pensiero va a Hiwa Bosco e a tutti/e coloro che cadono lottando per la libertà.
Shahid nimren. I martiri non muoiono


Viva la Rivoluzione in Kurdistan,Viva la solidarietà internazionalista!


Alcun* imputat* per l’irruzione alla Turkish airlines del 2015

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