L’accanimento scomposto contro Cesare Battisti non è certo
dovuto alle pretese etiche di giustizia di un sistema che è costituzionalmente
ingiusto e violento.
Solo per fare un esempio: come mai non si agitano tanto per
incarcerare Stephan Schmidheiny?
E chi è?(dirà il popolino telepilotato) Beh, è un tale
condannato per aver ammazzato 3.000 operai e abitanti nei dintorni delle sue
fabbriche di amianto (fra cui quella di Casale Monferrato, trasformata in
località cimitero), solo in Italia. Eh si,
perché il “magnate” (un pari grado degli Agnelli e Berlusconi) ha fabbriche ovunque nel mondo, ovunque
ossequiato come “datore di lavoro” e
difeso in patria – la Svizzera, nota centrale di copertura del crimine capitalistico
organizzato – e, in fin dei conti, insieme ai suoi compari oligarchi,
proprietario dello Stato e dei suoi buffoni politici e sgherri repressivi.
Condannato, poi, si fa per dire: 16 anni, che, facendo un
semplice calcolo, corrisponde a quasi 2 giorni di carcere per ogni operaio
ucciso. Eh, il “sacro valore della vita
umana”.. Naturalmente il “benefattore” non vedrà mai il carcere. Un altro
esempio potrebbe essere quello di Hespenan, dirigente tedesco della Thyssen
Krupp, condannato per l'omicidio dei 7 operai arsi vivi a Torino ed ora
tranquillamente libero in madrepatria ma, nel caso che gli assassini abbiano la
sventura di essere italiani, come alcuni dirigenti della stessa Thyssen Krupp,
dopo un paio di mesi di “dura reclusione”, otterranno subito la comprensiva
elargizione del regime di lavoro esterno. Insomma, in carcere ci vanno solo a
dormire. Un albergo fra i tanti (anzi, cosi originale) che i distinti uomini
d’affari frequentano.
L’elenco sarebbe interminabile. La loro giustizia è una buffonata,
sanguinaria!
Su Cesare Battisti si è concentrato, nel corso degli anni,
una pressione e un fuoco incrociato spaventosi perché si prestava, secondo i
criteri della loro impostura storica, alla criminalizzazione degli anni 70, del
movimento rivoluzionario che tanti patemi d’animo aveva procurato loro. “Questi
pezzenti che pretendono di cambiare il mondo..”
In effetti il movimento rivoluzionario proletario, in
Italia, aveva raggiunto vette notevoli.
La lotta di classe molto forte e prolungata di quel decennio ha dato
vita a formazioni politiche armate che hanno cercato di sviluppare tutta questa
ricchezza di rivolta proletaria in forza organizzata capace di sostenere un
processo di lunga durata finalizzato al rovesciamento del capitalismo, del suo
Stato. “Lo Stato borghese si abbatte, non si cambia”, slogan essenziale del
’68, trovava infine una sua concretizzazione.
Le esperienze furono tante e diverse. Battisti militò
nell’area dell’Autonomia Operaia, in un’organizzazione Proletari Armati per il Comunismo, presente in alcuni quartieri di
Milano. I PAC lottarono ed agirono piuttosto sull’onda
dello scontro che il movimento nel suo insieme sosteneva quotidianamente. Diciamo che, come altri gruppi, agivano in sintonia e prolungamento armato
alle istanze politiche e rivendicative esistenti al momento. Non si erano certo dati una progettualità e
un programma di tipo strategico, come le Brigate Rosse. Differenza fondamentale che fissava appunto
tendenze diverse, modi diversi di concepire il processo rivoluzionario.
Ma accomunati da tensioni, vissuto, obiettivi tesi alla
trasformazione sociale radicale, alla liberazione dalle catene dello
sfruttamento e del dominio di classe.
Infatti, guardando alle famose azioni imputate ai PAC e,
segnatamente a Cesare Battisti, cosa troviamo?
Azioni di rappresaglia alla violenza del sistema. Due, in particolare: il maresciallo Santoro,
capo delle guardie del carcere di Udine, era un notorio picchiatore, un tipico
esecutore della violenza carceraria.
L’agente Digos Campagna che prestava servizio al commissariato
della Barona, dove erano state
perpetrate vere e proprie torture ( di cui esiste ampia documentazione, pure in
atti giudiziari) in particolare contro una decina ci compagni del locale
Collettivo Autonomo.
Più discutibili gli altri due casi: due negozianti che
avevano ucciso dei rapinatori. Nel
discorso dei PAC, e di ampi settori del movimento, si difendeva almeno una
parte dei rapinatori. Quelli che, coraggiosamente, attaccavano banche,
gioiellerie e altre grosse proprietà borghesi.
All’epoca, questo tipo di rapinatori provenivano in effetti dagli
ambienti operai, come una forma di ribellione non lontana da una coscienza
politica, poi sovente sviluppata in carcere.
Di fronte, invece, l’attitudine spregevole di proprietari che non
esitavano ad uccidere per difendere i loro soldi. Certo una scelta discutibile quella di una
rappresaglia di questo tipo, ma in tutti i casi non si tratta di “vittime
innocenti”, come la narrazione dominante pretende.
Vittime innocenti le ha fatte di sicuro lo Stato, con le
stragi nelle piazze e sui treni. Tant’è
che, guarda caso, quasi tutte sono andate impunite! Il movimento rivoluzionario, nelle sue diverse
componenti, ha sempre proclamato programma ed obiettivi, compresi quelli d’attacco,
E sempre ha rivendicato le proprie azioni. Questa è dignità, questo è coraggio:
attaccare il potere, non chi sta sotto.
Oggi la situazione economica e sociale è drammatica. Il
capitalismo sta devastando le società ovunque, la sua violenza è decuplicata. La tirannia imperialista è feroce, genocida.
Il terrorismo è praticato dagli Stati in varie forme e sistematicamente. Il governo italiano ammazza migranti ed è
complice di regimi come quelli turco, saudita, egiziano, libico.
E hanno paura, perché nessun sistema può reggersi alla lunga
sulla regressione economico-sociale e sulla repressione brutale. Quello che sta
succedendo in Francia, e nel vicino Medio Oriente, indica chiaramente che alla
fine le classi oppresse, la gran parte delle popolazioni, trova i modi per
rivoltarsi, per cercare di far saltare la cappa di piombo e aprire spazi alla
rivoluzione.
Nella loro disperazione, i dominanti hanno scatenato il
peggio della società – razzismo, spirito concorrenziale e di sopraffazione,
maschilismo e ideologie retrograde – per intruppare le masse in senso
reazionario. Ma, nonostante tutti i
mezzi di cui dispongono, la manovra ha il fiato corto. Ovunque le resistenze stanno crescendo, altre
masse proletarie non arretrano più e imparano a restituire i colpi.
Questa è la fase, la posta in gioco. La prospettiva rivoluzionaria – l’ideologia,
il programma e i mezzi per sostenerle – riappare fra le fila dei nuovi
rivoltosi. Le esperienze vissute ci
insegnano molte cose, superarne limiti ed errori è il compito per riuscire a
dare di nuovo alle lotte presenti una prospettiva, un orizzonte, delle
finalità.
La battaglia attorno ai prigionieri politici, alla storia
che rappresentano, è un compito doveroso se il movimento attuale vuole darsi
un’autonomia e una forza per puntare alla rivoluzione.
Perciò difendiamo Cesare Battisti, come da sempre i
prigionieri incarcerati da 36 anni adesso(!), e quelli sottoposti alla tortura
del 41bis.
Difendiamo il campo proletario. Difendiamo la rivoluzione.
Contro il terrorismo di Stato –
Solidarietà ai prigionieri della guerra di classe