NOTE
SU ROJAVA E RIVOLUZIONE INTERNAZIONALE
Il fronte del Rojava si apre
durante la tappa siriana delle “primavere arabe”. Nel sommovimento interno che attraversa la
Siria, la popolazione kurda del nord-est e le sue organizzazioni armate
iniziano un percorso di autodeterminazione. Entrando in contrasto con lo Stato
centrale, ovviamente, che, per quanto tollerante (a fasi alterne) ha comunque
sempre perseguito l’arabizzazione, è sempre un regime costruito sull’identità
di Stato-nazione. E, per quanto relativamente progressista rispetto ai regimi
dell’area, ha anch’esso sistematicamente represso le tendenze comuniste
conseguenti . Più generalmente, il
sollevamento del Rojava fa parte del movimento di liberazione del Kurdistan, fatto
a pezzi dalla politica colonialista, con il trattato di Losanna esattamente 100
anni fa, smembrandolo fra quattro Stati.
Grande svolta avviene fra il
2013/’14 quando ai regimi reazionari dell’area che già finanziavano e armavano
potentemente varie organizzazioni
islamiste jihadiste, si aggiunge il regime fascista turco con un’operazione di
copertura e infiltrazione massiccia di queste, investendo quindi direttamente
il Rojava. È la
fase più critica, quella del dilagare dell’ISIS-DAESH fra Siria e Iraq. La fase
dell’eroismo kurdo che si trova ad affrontare un’armata, informale ma continuamente
alimentata con decine di migliaia di intruppati (non tanto e solo “fanatici”,
ma assoldati appunto con i grandi finanziamenti di cui sopra, e/o
forzati). E qui si fonda anche
l’alleanza tattica con gli Usa. Non trovando altre sponde, si è fatto ricorso a
questo appoggio tattico, che in quella fase era vitale per non essere travolti
dall’ondata jihadista. Ma l’anima e il
corpo della resistenza restava il movimento kurdo. Con gli obiettivi, di
indipendenza e trasformazione socialista, forgiati in una storia di decenni di
durissimo processo rivoluzionario, con enormi sacrifici. Culmine ne è la battaglia attorno a Kobane,
vinta anche grazie alla copertura aerea statunitense, ma innanzitutto grazie alla
grande forza e determinazione propria.
A quell’epoca avviene pure il
grande movimento di opposizione interna in Turchia detto di “Gezy park”.
Movimento che scuote in profondità la società e dà slancio a nuove generazioni
militanti. Federatore sul piano elettorale ne diventa l’HDP – Partito
Democratico dei Popoli – partito kurdo che riesce a convogliare buona parte di
queste energie, di gran parte della sinistra più autentica della Turchia. Si crea una dialettica fra questo
sommovimento e quello che avviene in Kurdistan, inizia l’andata di migliaia di
giovani verso il Rojava per sostenerlo nel duro scontro in atto. Un movimento che si estende presto
internazionalmente. Si forma una prima Brigata Internazionale di Liberazione,
promossa dal MLKP(di Turchia e Kurdistan del nord). Sempre più si capisce che
questo fronte è di interesse internazionalista, perché è una concreta
esperienza rivoluzionaria di trasformazione sociale, affrontando nemici
strategici come il fascismo turco (che si sta affermando con un espansionismo
regionale proprio), la NATO di cui è pilastro, il jihadismo loro ausiliario.
Il regime risponde alla sua
maniera: retate di massa contro l’HDP(che aveva ottenuto circa il 13% alle
elezioni e quindi rappresentanza parlamentare) e sua messa al bando come
“partito terrorista” legato al PKK.
Repressione poliziesca e militare contro le enormi manifestazioni
dell’epoca, culminante in un attentato stragista nella città di Suruç, nel
2015, nel mezzo di una di queste manifestazioni, oltre ad altri attentati simili
(attribuiti all’ISIS ma pilotati dai servizi segreti, fra i due esistendo
un’organica collaborazione che emergerà presto con l’infiltrazione e poi
invasione in Rojava).
Proprio in questi anni, fra
il 2015/2017, sul filo della guerra contro l’ISIS e della progressiva
liberazione sia del Rojava che di territori limitrofi, le forze rivoluzionarie
si sviluppano notevolmente. Sia in quantità e capacità, sia in composizione essendo
interetniche, dando alla componente femminile un ruolo di primo piano, e
ancorando il militare al processo di trasformazione sociale e autogoverno
popolare. Questa dialettica molto intensa è il motore del loro sviluppo, delle
vittorie militari come del
coinvolgimento popolare attivo. L’altro aspetto fondamentale è la risonanza
internazionalista, il suo diventare un riferimento come concreto percorso
rivoluzionario di nuovo tipo. La prima conferma viene dalle organizzazioni comuniste
di Turchia, che dopo aver già inviato loro forze sui fronti del Rojava, nel
2016 formano il Movimento Rivoluzionario Unito dei Popoli (HBDH). Nove
organizzazioni e partiti armati, le più importanti: TKP/ML, MLKP, MKP e altre,
salvo il DHKP-C, lo costituiscono insieme al PKK. E diventa operativo su vari
fronti, anche all’interno della Turchia, con notevole efficacia. I punti di
divergenza persistono, in particolare la questione delle alleanze tattiche (ciò
che motiva la non adesione del DHKP-C), ma si considera giustamente che le
esigenze della guerra e del processo rivoluzionario in atto primeggiano e
fondano quest’inedita unità (quello che oggi avviene in Palestina..). Percorso
che si alimenterà di grandi esperienze di sviluppo comune e oltre le frontiere,
segnato dalla caduta in combattimento di decine di internazionalisti e ancor
più di militanti delle suddette organizzazioni.
All’apice di questa fase sta
la liberazione di Raqqa, segnando la sconfitta e il tramonto del potere
territoriale dell’ISIS. Il prestigio del Rojava è al massimo, sia per la
capacità militare sia per gli evidenti segni di trasformazione sociale che sta
concretizzando, fra cui la crescita delle forze armate femminili e
interetniche.
Lo Stato Turco, persa questa
carta “ausiliaria”, decide allora di intervenire direttamente. È il piano di invasione,
progressiva, del Rojava. Piano che dovrà negoziare, via via, con Usa e Russia, sul filo dello scontro più generale in Siria
e dintorni. Gennaio 2018, le due potenze
danno il via libera all’invasione sulla città di Afrin. Per la prima volta le
forze rivoluzionarie si trovano a fronteggiare l’esercito turco in tutta la sua
potenza (il secondo esercito della Nato) e devono ammettere la loro
insufficienza. Organizzano così
l’evacuazione della popolazione, salvo un’esigua minoranza che diventerà poi
base di guerriglia urbana. Afrin
costituisce comunque una sconfitta bruciante che porrà all’ordine del giorno
uno sforzo di costante rielaborazione e adeguamento della strategia politico-militare. Ciò che avverrà nonostante talvolta la
supremazia militare turca obbligherà ad altri ripiegamenti. Dalla città di
Serekaniye in particolare. Nei territori
occupati lo Stato turco opera pulizia etnica installando popolazioni sunnite
inquadrate dalle milizie jihadiste ma, ciò nonostante, si scontra con una
resistenza diffusa, collegata alla strategia militare delle forze YPG-YPJ. Su un altro lato, quello iracheno, il
fascismo turco si avvale della collaborazione, organica e storica, del PDK
(feudo del clan Barzani). Collaborazione che ha la sua radice nel suo carattere
reazionario e semifeudale, nonché nell’asservimento all’imperialismo.
Tuttavia il fronte kurdo, nel
suo insieme, ha una forza di tutto riguardo. PKK in testa, ovviamente, si
tratta di circa 100.000 effettivi in armi. Nei fatti la forza armata
rivoluzionaria più consistente in tutta la regione (contando anche il PJAK kurdo
iraniano) e con una compattezza ideologica e politica. Lo stesso fascismo turco sa di non poterla
distruggere, e così pure gli altri regimi.
Mentre la sua forza dirompente dà, periodicamente, forti impulsi
all’opposizione politica interna, come si è visto anche nella ribellione dei
mesi scorsi in Iran e allargando pure sul piano internazionale l’obiettivo di
sconfiggere, abbattere il fascismo turco in quanto pilastro della reazione e
della Nato. Tutto questo ha la sua radice, da lunghi decenni, nel programma,
negli obiettivi di liberazione anticoloniale e sociale. Programma e obiettivi praticati e
concretizzati, relativamente alle possibilità di fase, e che fanno vivere un
orizzonte socialista. La radice
marxista-leninista, per quanto rivista e innovata, ne è pur sempre il
fondamento. La stessa loro efficacia politico-militare lo dimostra.
Nell’innovazione proposta con
la teoria del confederalismo democratico, il punto cruciale è il superamento
dei limiti e derive dell’esperienza storica socialista del Novecento. Questione reale, al di là delle loro
proposte. Fra queste merita comunque
attenzione la critica allo Stato-nazione.
Soprattutto nelle realtà che si dibattono fra de-colonizzazione e
rinnovate forme del dominio imperialista, la forma Stato-nazione rivela ormai
tutte le sue insufficienze, richiedendo nuove ipotesi e tentativi di soluzione
che riescano sia a fronteggiare l’imperialismo sia a sviluppare un processo
sociale rivoluzionario di carattere interetnico e internazionalista (d’altronde
il meglio delle lotte di liberazione anticoloniale avevano ipotizzato l’unità
araba e quella africana). Questione enorme
e del tutto aperta, e ragion per cui vanno apprezzati i tentativi, i passi
concreti fatti in alcune aree del mondo fra cui la stessa Palestina, India,
Filippine, America Latina e Africa. Non
si tratta di aderire ad un’ipotesi, ad una strategia specifica, bensì più
semplicemente di coglierne la portata di interesse generale nel ricostituirsi
di un campo rivoluzionario internazionale.
Come SRI, infatti, così ci
siamo mossi in questi anni. Ci schieriamo solidariamente con le forze
rivoluzionarie che ci sembrano autentiche, pur non “sposandone” nessuna (noi
stessi, in quanto organismo di Fronte, comprendiamo elementi provenienti da
percorsi e appartenenze diverse, comuniste, antimperialiste ed ex
anarchiche). Cerchiamo di valorizzare e
socializzare gli aspetti utili di portata generale, appunto. Così le campagne a
sostegno dei prigionieri politici, contro resa e pacificazione, e così l’aiuto
concreto ad alcuni fronti di guerra come la campagna per maschere antigas e
bendaggi “salvavita” alle forze kurde. Si
è poi integrata la rete internazionale “Rise Up 4 Rojava” che pratica azioni
militanti di vario tipo (occupazioni, blocchi, sabotaggi) per dare carattere
generale alla lotta contro il fascismo turco e l’ordine imperialista.
Ci sembra che proprio
l’attuale tappa della guerra di liberazione per la Palestina ponga in evidenza
questi elementi. La necessità di far
fronte unito e in una dinamica ampia, coinvolgente più popoli attraverso
diverse entità statali. Mantenendo salda sia la lotta antimperialista sia la
prospettiva rivoluzionaria socialista/comunista.