sabato 10 ottobre 2020

 


Indonesia, sommosse di massa contro leggi antioperaie


Diverse decine di migliaia di indonesiani hanno manifestato oggi, giovedì 8 ottobre, nelle principali città dell'arcipelago del sud-est asiatico e si sono scontrati con la polizia per protestare contro la nuova legislazione, denunciata da sindacati e attivisti ambientali. La polizia ha usato gas lacrimogeni nella capitale e ha effettuato più di mille arresti.
Circa 13.000 membri delle forze di sicurezza erano stati dispiegati nella capitale e nei dintorni per impedire l'arrivo di lavoratori e studenti che volevano manifestare davanti al palazzo presidenziale e al Parlamento

Ma, scontrandosi, i manifestanti hanno superato gli schieramenti polizieschi e si sono riversati nel centro della città. Non riuscendo a raggiungere il Parlamento, hanno devastato alcuni edifici governativi, dato fuoco a stazioni di polizia stradale e a fermate degli autobus. In molte altre città, i manifestanti hanno rivolto la loro rabbia contro i parlamenti locali, come a Surabaya, Bandung e Makassar.
L'Indonesia ha un codice del lavoro relativamente protettivo rispetto ad altri paesi asiatici, con salari minimi e
restrizioni per i licenziamenti. Il governo con la nuova legge
- denominata “legge omnibus” - mira a ridurre la burocrazia modificando dozzine di leggi esistenti che incidono sul diritto del lavoro, la
fiscalità e le norme ambientali, per favorire ulteriormente gli investimenti delle multinazionali, insomma ad aggravare ancor più le politiche neoliberiste, mentre il paese si prepara ad entrare in recessione.

Un movimento significativo nel cuore delle odierne più importanti aree industriali del mondo, come quella cinese e di tutti i paesi contigui, un movimento che influisce sui rapporti di forza globali fra proletariato e capitale. E che quindi, nonostante la distanza geografica, ci interessa direttamente.


Giusto ieri ricordavamo il genocidio anticomunista del settembre 1965, ecco che l’attualità riporta come, nonostante tutto, la lotta di classe abbia ripreso vigore. L’Indonesia divenne nei decenni seguenti un “paradiso per le multinazionali, per l’imperialismo occidentale” e un inferno di sfruttamento per la classe operaia. Come in buona parte dei paesi asiatici ma anche con il peso di quella tremenda repressione che distrusse il partito comunista e la sua notevole forza. Questa nuova lotta di classe creerà le condizioni per la ripresa del movimento comunista e di una prospettiva rivoluzionaria.


INDONESIA: UN MASSACRO DIMENTICATO

di Alex de Jong

La mattina del 30 settembre 1965, un piccolo gruppo di ufficiali dell’esercito e di membri del Partito Comunista Indonesiano (PKI) tentarono un colpo di stato contro i vertici dell’esercito indonesiano. Sei generali dell’esercito vennero uccisi, ma il colpo di stato fallì ed venne schiacciato dai leader militari sopravvissuti in pochi giorni. Insieme ad altre forze di destra, l’esercito, sotto il comando del Gen. Suharto e di Abdul Haris Nasution, si vendicarono.

Centinaia di migliaia di comunisti, veri e presunti, furono massacrati e venne installato un nuovo regime militare posto sotto Suharto.

Potenze occidentali come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e Paesi Bassi tollerarono e spesso sostennero attivamente i massacri.

La Giunta militare indonesiano una volta preso il controllo dei media, il 2 ottobre, li utilizzò  per diffondere la propria versione dei fatti. Nella versione della giunta, l’uccisione dei generali era stata la scintilla che ha fatto esplodere la rabbia popolare contro un partito odiato per la sua violenza, la sua indifferenza per la religione e la sua mancanza di patriottismo. I piani del PKI per una rivoluzione violenta e l’eliminazione di tutti coloro che si fossero opposti era stata fermata da un’ondata di rabbia popolare spontanea contro i comunisti traditori.

Per decenni, questa versione delle uccisioni di massa che avvennero nel periodo 1965-1966 venne rafforzata dalla propaganda di stato e riproposta a pappagallo da molti esperti occidentali che vedevano in questa eruzione “spontanea” in violenza omicida come una conferma delle proprie preesistenti idee razziste circa i fanatici e irrazionali “orientali”.

La ricerca storica ha demolito questa versione dei fatti. Il fallito colpo di stato non è stato un’iniziativa della PKI nel suo complesso, ma di un piccolo numero di capi del  PKI che lavoravano con alcuni ufficiali dell’esercito simpatizzanti e che volevano rimuovere diversi leader di destra dell’esercito – non cero per prendere il potere statale.

Il massacro che ne seguì fu sistematico, organizzata da politici e da milizie della destra nazionalista, da organizzazioni religiose e, soprattutto, dall’esercito indonesiano. Questa coalizione omicida ricevette il sostegno politico e materiale da parte delle potenze occidentali.

Pochi giorni dopo il colpo di stato, funzionari statunitensi e britannici cominciato a fare progetti per sfruttare la situazione politica. Il colpo di stato aveva offerto loro la possibilità di schiacciare il PKI, un partito che i funzionari occidentali temevano stesse avvicinando pericolosamente al potere statale.

Negli anni precedenti il colpo di stato, il PKI aveva cercato di affermarsi come il più fiero partito anti-imperialista del paese, mobilitando contro l’influenza del capitale straniero, soprattutto di quello olandese e britannico.

Contemporaneamente aveva sostenuto il presidente indonesiano Sukarno nella richiesta che l’Olanda lasciasse l’Irian Jaya (Papua Occidentale) all’Indonesia e nella sua campagna contro la Malesia, che veniva denunciata come strumento dell’imperialismo britannico.

Per un certo periodo questa strategia ebbe successo. Nelle elezioni parlamentari del 1955 – l’ultima prima che Sukarno adottasse il suo sistema autoritario di “democrazia guidata”  – il PKI emerse come il quarto più grande partito del paese con il 16,4 per cento dei voti. I membri del partito erano cresciuti da meno di ventimila nel 1954 a oltre 1,5 milioni.

Milioni di indonesiani vennero  organizzati nei sindacati alleati al PKI e nelle organizzazioni di massa di contadini, donne, studenti e altri gruppi.

Non era solo la crescita del PKI che aveva scatenato i campanelli d’allarme in Occidente. Alla fine del 1950, gli Stati Uniti appoggiarono la ribellioni di destra contro Sukarno, ma il progetto fallì quando furono sconfitti i ribelli.

Il sostegno americano ai suoi avversari spinse Sukarno più lontano dal blocco occidentale e danneggiò le relazioni degli Stati Uniti con la forza indonesiana di desta più potente: l’esercito.

Nel frattempo, il contributo dei comunisti alla lotta contro i ribelli portò ad un aumento della simpatia popolare e ad un crescente favore da parte di Sukarno.

All’inizio degli anni Sessanta, la PKI era il più grande partito comunista mondo al di fuori del blocco sovietico, e l’Indonesia era diventata il maggior beneficiario non appartenente al blocco di aiuti economici e militari sovietici.

Dopo il fallimento delle ribellioni regionali, gli Stati Uniti adottò una strategia diversa. Con l’aiuto di fondazioni filantropiche come la Ford e Rockefeller e istituzioni come la Banca mondiale, gli Stati Uniti restaurarono il suo rapporto con l’esercito indonesiano e il diritto del Paese, fornendo assistenza materiale e garantendo la formazione degli ufficiali dell’esercito e di intellettuali filo-occidentali.

Ma la capacità del governo degli Stati Uniti di influenzare la politica statale indonesiana in definitiva dipendeva dal presidente Sukarno.

Sukarno, il leader storico del movimento indipendentista indonesiano, era molto popolare ed essenzialmente governava per decreto. Non era un comunista, ma era un fervente anticolonialista che sognava una Indonesia potente, completamente indipendente in grado di giocare un ruolo importante sulla scena mondiale.

Sukarno si era sempre scontrato con le potenze occidentali – in particolare con il Regno Unito e gli Stati Uniti – che denunciava come neocolonialisti.

Nei primi mesi del 1965, l’Indonesia si ritirò dalle Nazioni Unite ed venne espulsa dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale.

Di conseguenza, i funzionari occidentali erano pessimisti circa la loro capacità di manipolare il panorama politico in Indonesia.

Nei primi mesi del 1965, l’ambasciatore olandese in Indonesia, ELC Schiff, disse in un colloquio con il ministro degli affari esteri, che tra i suoi colleghi era condivisa l’idea che Sukarno sarebbe rimasto leader del paese fino alla sua morte, e che “non era più possibile impedire all’Indonesia di scivolare verso sinistra”.

Gli Stati Uniti avevano deciso da allora che Sukarno non avrebbe accettato pressioni per abbandonare il PKI, e nell’agosto 1964 decisero di rovesciare Sukarno.

Questa decisione venne presa in accordo con i piani segreti dei funzionari britannici tesi a fomentare la guerra civile e la caduta del governo di Sukarno.

Il Regno Unito aveva costituito un “direttore di guerra politica contro l’Indonesia,” con sede a Singapore, e la CIA propose di espandere le proprie operazioni in Indonesia per includere  “operazioni segrete a sostegno ai gruppi anti-comunisti esistenti, operazioni legali campagne mediatiche, tra cui la possibilità di creare “black radio” (stazioni radiofoniche di propaganda), e l’azione politica all’interno delle istituzioni e delle organizzazioni indonesiani esistenti”.

L’aspettativa era che qualora Sukarno venisse rimosso, ne sarebbe seguita una lotta di potere tra il PKI e l’esercito. La leadership (in questa fase pro-USA) dell’Esercito era fiduciosa circa l’esito di questa lotta: in un incontro confidenziale con l’ambasciatore olandese, il Capo di Stato Maggiore Gen. Ahmad Yani (uno dei generali uccisi il 30 settembre), disse che l’esercito era “affidabile” e si stava preparando allo scontro qualora il presidente malato fosse morto.

Ma fino a quando Sukarno avesse protetto il PKI, schiacciare i comunisti sarebbe stato impossibile. L’Assistente Segretario di Stato britannico Edward Peck suggerì “ci sarebbe molto da dire per favorire un prematuro colpo di stato del PKI durante la vita di Sukarno.”

Il fallito colpo di stato diede a Peck ciò che voleva.

L’uccisione dei generali fu un vantaggio per la campagna di propaganda dell’esercito contro il PKI e, indirettamente, contro Sukarno. Il rifiuto di Sukarno di condannare o vietare il PKI, come la destra chiedeva dopo il golpe fallito, venne sfruttata dall’esercito per screditarlo.

Nei mesi successivi, Sukarno fu costretto a cedere sempre più potere all’esercito.

La teoria secondo cui la violenza fu un’improvvisa eruzione di rabbia popolare è smentita dalla sua graduale escalation. Dopo il fallito colpo di stato, l’esercito sostenne  manifestazioni anti-PKI fornendo trasporto e protezione, e circa una settimana dopo la morte dei generali, i manifestanti saccheggiarono gli uffici PKI mentre le forze di sicurezza stavano a guardare. Seguirono le case dei membri del PKI.

Le uccisioni di (presunti) membri e sostenitori del PKI non furono avviate fino a poche settimane dopo il tentativo di colpo di stato del 30 settembre: i massacri hanno avuto luogo a Java centrale alla fine di ottobre, poi a Java dell’est nel mese di novembre, seguita da Bali a dicembre. In ogni caso l’arrivo delle forze speciali, comandati dal Maggiore Gen. Sarwo Edhie, precedevano le uccisioni.

Molte vittime vennero arrestate da gruppi di miliziani sostenuti da forze speciali di Edhie. I prigionieri furono messi in campi di prigionia di fortuna in località remote e vennero spesso uccisi in gruppi, spesso con un colpo d’arma, accoltellati, o con i loro crani schiacciati con sassi. Gran parte delle uccisioni venne fatto dai giovani membri della milizia di gruppi come Ansor, l’ala giovanile del Nahdlatul Ulama, la più grande organizzazione musulmana del paese.

Ernst Utrecht, un sostenitore di sinistra di Sukarno ed ex parlamentare, stima che fino a cinquantamila indonesiani abbiano partecipato al massacro.

Dopo decenni di propaganda e di insabbiamenti, il numero delle vittime non può essere determinato con precisione. La maggior parte degli storici assumono il numero dei morti tra cinquecentomila e 1 milione, anche se Edhie stesso ha sostenuto che il numero era di 3 milioni.

Le potenze occidentali sostennero l’esercito nella sua campagna contro il PKI.

Il 17 ottobre, la CIA preoccupato che l’esercito non fosse in grado di andare “fino in fondo nella lotta contro coloro che erano direttamente coinvolti nell’omicidio dei generali permettendo a Sukarno di riprendersi gran parte del suo potere”.

Per evitare questo la CIA diede una liste con i nomi di cinque mila membri del PKI ai generali e organizzò la consegna di armi e di denaro per l’esercito.

L’ambasciata degli Stati Uniti fornì le proprie liste con duemila nomi. In un incontro con funzionari britannici, il Gen. Sukendro chiesto aiuto all’esercito per “consolidare la propria posizione”.

Il verbale della riunione riportava sulla “strategia dell’esercito” e contro il PKI e su come “le considerazioni [erano] state fatte per incontrare il favore per le armi dei nazionalisti e degli elementi religiosi.”

Anche altre potenze occidentali aiutarono la strage: il servizio segreto estero della Germania Ovest consegnò armi e attrezzature di comunicazione per un valore DM300,000, mentre il rifugiato indonesiano Jusuf Osman Helmi ha riferito che la Svezia firmò un contratto con Suharto e Nasution “per un acquisto di emergenza del valore di 10 milioni dollari per armi leggere e munizioni “nel dicembre del 1965.

L’Ambasciatore olandese Schiff riferì l’8 ottobre, che l’esercito stava conducendo una “intensiva campagna diffamatoria” contro il PKI, e concluse che la situazione era “la migliore – e forse ultima – chance dell’esercito per affermarsi politicamente”

Entro la fine del mese di ottobre, l’ambasciata Usa ricevette segnalazioni di violenze contro le masse di sostenitori PKI a Java Est, Centrale e Ovest.

L’ambasciatore degli Stati Uniti ha rilevato che l’esercito si stava “muovendo inesorabilmente nel sterminare il PKI.” Un mese più tardi Schiff ha riferito che interi “kampong” (villaggi) erano stati annientati, presumibilmente a causa di faide locali.

Lo spargimento di sangue raggiunse il suo obiettivo di distruggere la sinistra indonesiana.

Nel mese di aprile del 1966, il ministro degli affari esteri Schiff, il futuro segretario generale della Nato Joseph Luns, osservarono “il colpo inferto ai comunisti (da cui non sono suscettibili di recuperare nel prossimo futuro).” Nel luglio del 1966, il primo ministro australiano Harold Holt sottolineò in un discorso a New York, che “da 50.000 a 1.000.000 di simpatizzanti comunisti eliminati, penso che sia lecito ritenere che abbia avuto luogo un cambio di direzione.”

Qualche settimana prima il Dipartimento di Stato americano aveva gioito che, a causa dell’uccisione “fino a 300.000 comunisti” e con un altro 1,6 milioni di comunisti indonesiani che hanno rinunciato alla loro adesione, il numero dei comunisti nei paesi non appartenenti al blocco sovietico era sceso del 42 per cento in un anno.

L’aiuto che i funzionari occidentali hanno dato all’esercito tra la fine del 1965 e l’inizio del 1966 è stato un segnale politico fondamentale per nuovi governanti in Indonesia che gli Stati Uniti e i suoi alleati erano disposti de facto a sostenerli. Questo sostegno è stato fondamentale per il regime nascente perché l’economia indonesiana era in crisi, e il capitale occidentale si era dimostrato riluttante ad investire in Indonesia dopo l’acquisizione da parte di Sukarno di società inglesi e olandesi e la richiesta di espropriare capitali occidentali.

I militari sfruttarono la crisi economica per minare quello che rimaneva del potere di Sukarno – società britanniche e statunitensi come Caltex, Goodyear, e US Rubber fecero un accordo con l’esercito per incanalare i ricavi aziendali in conti bancari anonimi, privando lo stato indonesiano di una fonte importante di valuta estera, oltre che paralizzare Sukarno.

Allo stesso tempo, l’esercito si affrettò a placare i suoi sostenitori occidentali.

Nel mese di dicembre, Suharto rassicurò le compagnie petrolifere occidentali che l’esercito “non avrebbe condotto mosse precipitose” contro di loro, e pochi giorni dopo Sukarno consegnò ufficialmente il potere a Suharto il 11 marzo 1966, e venne permesso alla società statunitense mineraria Freeport di rientrare nel paese e poter estrarre le ricche risorse minerarie in Irian Jaya.

Una nuova legge sugli investimenti esteri concesse condizioni estremamente favorevoli per capitale estero e venne elaborata in stretta collaborazione con il FMI, e a partire dal 1967 il nuovo regime ricevette 450 milioni dollari ogni anno dal Gruppo intergovernativo sul Indonesia (IGGI).

Il IGGI comprendeva la Banca asiatica di sviluppo, il Fondo monetario internazionale, il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, la Banca mondiale, Australia, Belgio, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Nuova Zelanda, Svizzera e Stati Uniti, e venne presieduta da Paesi Bassi. La presidenza olandese era stata suggerita dai funzionari degli Stati Uniti che speravano di distogliere l’attenzione dal coinvolgimento degli Stati Uniti (e dal Giappone) nell’affare.

Grandi città dell’Indonesia vennero ritenute prioritarie come beneficiarie degli aiuti per stabilizzare la situazione politica. Nel 1968 la dittatura di Suharto era comodamente costituita e impegnata in politiche economiche pro-occidentali.

Il governo indonesiano si rifiuta ancora oggi di ammettere che le uccisioni erano state una sistematica violazioni dei diritti umani. Nessuno è mai stato ritenuto responsabile per le centinaia di migliaia di morti, e non una sola delle tante conosciute fosse comuni sono state completamente scavate per dare alle vittime una degna sepoltura.

E nel mese di aprile è stato annunciato che Sarwo Edhie sarebbe stato dichiarato  un “eroe nazionale” per le sue azioni.

Al di là di questo, i massacri raggiunsero il loro obiettivo. Fino ad oggi, la sinistra indonesiana non si è ancora ripresa.